La sofferenza ci aiuta a comprendere chi siamo veramente dentro
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La croce che ci salva
Chi sono gli ammalati, i disperati di cui parla il Vangelo? Non sono solo quelli fisici, gli zoppi, gli storpi, i ciechi, oggi i sieropositivi. Gesù ci rivela una malattia più profonda, l’unica, quella vera: il peccato, la vita senza di Lui, il non credere. Se anche abbiamo un fisico sano ma siamo tristi, siamo sfiduciati, a che serve? Solo se abbiamo il coraggio di gettare la nostra vita ai piedi del crocifisso, allora impariamo che la salute è un dono da riversare sugli altri, non appartiene a noi: è dono ricevuto che va donato.
Ecco perché Dio ci ha lasciato i poveri: perché noi, aprendo il nostro cuore, le nostre braccia e la nostra vita a loro, ci meravigliassimo di essere buoni e scoprissimo la nostra vera identità: essere buoni, miti, misericordiosi. I sofferenti ci aiutano a mettere a fuoco chi siamo veramente dentro, ci fanno rientrare in quel sacrario che è il cuore dove l’uomo si commuove e piange, soffre e si ribella, dove crolla ogni forma e apparenza, dove ogni titolo svanisce e resti tu con ciò che veramente sei dentro.
Un giorno sono venuti in Comunità una mamma ed un papa con il loro bambino di dodici anni portatore di handicap. Ad un certo punto ho guardato il ragazzo, che si chiama Francesco, e gli ho chiesto: “Francesco, sei contento?” e lui mi ha risposto: “Sì, tanto!” Allora ho guardato negli occhi i genitori ed ho colto che in quell’istante tutti abbiamo pensato la medesima cosa: ma chi è il vero malato?
Ho compreso che quel figlio è una ricchezza enorme perché mette in crisi la nostra efficienza spesso triste, il nostro fare tante cose spesso vuoto, il nostro sguardo sovente spento. Lui, con gli occhi che brillavano, ci ha detto: “sono contento, tanto contento!” Non so quanti giovani di oggi con la salute, la libertà, la macchina, i soldi, tutto… possono dire di essere contenti.
Quanta tristezza c’è oggi! Certo, se si giudica dal punto di vista umano quella è una vera “disgrazia” che chiede compassione, mentre lo sguardo della fede fa cogliere che il dolore e la sofferenza sono la presenza stessa di Gesù nella famiglia: se la accog ti senti salvato. Un giorno un’altra mamma è venuta a trovarmi dicendomi: “Questa bambina, che ormai ha sei anni e non ha mai camminato, ha salvato la nostra unione coniugale e la nostra famiglia.”
Avevano guardato con gli occhi dell’amore, della fede, della verità, scorgendo in quella croce misteriosa la luce ancor più misteriosa della risurrezione. Durante una celebrazione Eucaristica qualche giorno fa c’erano alcune famiglie dei nostri ragazzi; un genitore ha pregato dicendo: “Ti ringrazio, Signore, perché attraverso la droga prima e la malattia poi di mio figlio, nostro figlio, Tu hai recuperato e salvato la nostra famiglia.”
Ciò che sembrava croce pesante, è diventata, grazie all’incontro con Gesù, uno strumento di salvezza. La libertà di cui gode l’uomo 1 porta a fare delle scelte a volte sbagliate o di male, ma Dio anch da questi Suoi figli sa trarre la salvezza e la conversione e dalla sofferenza di un malato terminale di AIDS la serenità. Il nostro Dio è Amore ed attende, bussa al nostro cuore finché riesce ad invaderlo e a trasformarlo.
Noi dobbiamo impegnarci a vivere non da soli ma con la presenza costante di Gesù: Lui ci aiuta a capire il povero, il sofferente, l’ammalato e ci spinge ad aiutarlo, scomodarci, a rinunciare a qualcosa di nostro per lui: poi ti acce gi che nasce dentro di te una gioia infinita. Abbiamo bisogno gli uni degli altri, perché incontrare la gioia è abbracciare la croce.
Madre Elvira Petrozzi
Comunità Cenacolo
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