Sofferenza – "Sulle ali del dolore"
Questo articolo è stato già letto1378 volte!
Breve biografia.
Alexandrina Maria da Costa, cooperatrice salesiana, nasce a Balasar, Portogallo, il 30 marzo 1904. Mistica del nostro secolo, della quale è n corso la causa di beatificazione, è anche la portavoce della volontà di Dio nella richiesta di consacrazione del mondo al Cuore Immacolato di Maria che Pio XII proclama nel 1942. A 20 anni rimane paralizzata nel letto a causa di una mielite alla spina dorsale, conseguente ad un salto fatto a 14 anni dalla finestra di casa, per salvare la sua purezza da tre uomini male intenzionati. Nella solitudine della sua cameretta, Alexandrina diventa l’angelo consolatore di Gesù Presso tutti i Tabernacoli del mondo e, contemporaneamente ostia nell’ostia Divina, con Gesù la vittima immolato per la salvezza delle anime. Alexandrina infatti vive misticamente, nel corpo e nell’anima, la Passione di nostro Signore, dall’agonia del Getsemani alla crocifissione sul Calvario in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e profanazioni eucaristiche. Durante ali ultimi 13 anni di vita, Alexandrina vive di sola Eucaristia, senza alimentarsi più. Durante le estasi, varie volte Gesù le ripeteva: “…Faccio in modo che tu viva solo di me per mostrare al mondo il valore dell’Eucaristia, e ciò che è la mia vita per le anime…” “Parla alle anime, figlia mia, parla loro del rosario e dell’Eucarestia! Il rosario, il rosario, io il rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e il mio sangue! Tra le mura della sua cameretta, Alexandrina riceve folle di perso¬ne che accoglie sempre sorridendo, nonostante le grandi sofferenze che ininterrottamente vive nel corpo e nello spirito. Il suo sorriso che diviene trasparenza del Cielo, irradiazione della vita divina, tocca i cuori delle folle che escono da quella cameretta, portando il segno del silenzioso cambiamento interiore. Il 13 ottobre 1955 avviene il passaggio di Alexandrina dalla vita terrena a quella del Cielo. il 12 gennaio 1996 la Chiesa la proclama venerabile per la gloria di Dio e la gioia di tutti i suoi figli.
DOLORE TRASFIGURATO
Come è mai possibile gioire nella tribolazione?! È inconcepibile, è assurdo, un paradosso! Infatti, se ci si limita ad un piano strettamente terreno, la natura umana rifugge da ogni tipo di sofferenza, sia essa fisica, morale o spirituale. La stessa nostra Alexandrina dice: “La natura vuol scuotersi di dosso il peso della croce… La natura pare rivoltarsi contro di essa: tenta di fuggir via da ogni parte”. s (24-7-53) Su questo siamo tutti perfettamente d’accordo….
… Ma non c’è forse nell’essere umano anche una componente ultraterrena, che può essere in contrasto con la natura terrena, in vista di un Bene, di un Bello supenore? Una madre si getta nel fuoco per strapparne un figlio, e gioisce nel salvarlo. Quindi si può trovare gioia dove la natura trova orrore. E unicamente con questa prospettiva di un bene superiore che possiamo comprendere non solo l’eroi¬smo di certi santi, dei martiri, ma anche la gioia sublime, la letizia (San Francesco) con cui affrontarono ogni tribolazione, ogni tortura. Ma quale è mai la forza che ci fa fare questo “salto di qualità”, che ci fa vincere l’opposizione della natura terrena? È l’amore, soltanto l’amore! Quella mamma non vincerebbe l’orrore di buttarsi nel fuoco, se non amasse il figlio. “Omnia vicit amor”.
… Ma non c’è forse nell’essere umano anche una componente ultraterrena, che può essere in contrasto con la natura terrena, in vista di un Bene, di un Bello supenore? Una madre si getta nel fuoco per strapparne un figlio, e gioisce nel salvarlo. Quindi si può trovare gioia dove la natura trova orrore. E unicamente con questa prospettiva di un bene superiore che possiamo comprendere non solo l’eroi¬smo di certi santi, dei martiri, ma anche la gioia sublime, la letizia (San Francesco) con cui affrontarono ogni tribolazione, ogni tortura. Ma quale è mai la forza che ci fa fare questo “salto di qualità”, che ci fa vincere l’opposizione della natura terrena? È l’amore, soltanto l’amore! Quella mamma non vincerebbe l’orrore di buttarsi nel fuoco, se non amasse il figlio. “Omnia vicit amor”.
AMORE-DOLORE.
Su questa terra, chi ama soffre. Ogni anima sensibile che ama non può fare a meno di soffrire partecipan¬do alle tribolazioni dei suoi cari e contemplando lo stato in cui si trova la povera umanità. Dice Alexandrina nel diario del 16-2-51: “Amavo e, poiché amavo, soffrivo”. E molti anni prima, nell’estasi del 2-12-44, Gesù le aveva detto, riferendosi al suo dolore morale: “Il dolore è figlio dell’amore. È con il dolore e con l’amore che tu dai la vita ai figli miei”. È connaturato con la natura umana questo binomio inscindibile: amore-dolore. Chiunque lo vive, indipen¬dentemente dal suo credo religioso, o dal suo stato di non-credente. Ma nel cristiano c’è una forza in più: vedremo. Il cristiano crede nella Redenzione operata da Cristo mediante la Croce. Non possiamo certo noi, piccole creature seminate su una “particella” dell’immenso universo e dotate di una intelligenza tanto limitata, pretendere di capire perché il Sacrjficio di Cristo, così atroce, sia stato scelto per la Redenzione umana, per rimediare ai danni di un “pasticciaccio” avvenuto alle origini, a causa di quella zizzania seminata dal nemico. Non possiamo capire. Ma il cristiano crede in una Rivelazione che presenta il Verbo incarnato, Gesù, Vittima offerta alla giustizia dell’Eterno Padre per riparare i mali dell’umanità. Un Gesù che è morto, ma è anche risorto, che è tuttora vivo, costantemente presente ed operante lungo il cammino della storia, attraverso i membri del suo Corpo Mistico. Poiché nell’umanità il male continua a sussistere, an¬che la Redenzione deve continuare, quindi la soffe¬renza. È giustamente famosa la frase di Paolo: “Completo nella mia carne quello che manca alla Passione di Cristo”. (Col
1,24) Non che la Passione di Cristo fosse incompleta: essa continua nei secoli in Cristo stesso operante nei Suoi membri, come abbiamo detto. Merita attenzione anche un’altra frase, più forte: “Sono stato crocifisso con Cristo; dunque non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal 2,19-20) Alexandrina sente Gesù che le dice: “Tu soffri, ma sono io che soffro in te. Tu sof¬fri, ma io mi sono rivestito del tuo corpo, per¬ché tu potessi camminare con la tua croce e salire il tuo calvario. Tu vinci con la forza divina. L (27-8-40) Nel libro Le montagne delle spezie, di Hanna Nur¬nard (grande teologa secondo padre Gasparino), tro¬viamo questa affermazione di Gesù: “Nessuno è solo a soffrire il suo male: Io ho creato, Io mi carico, Io espio”. È questo Cristo la forza del cristiano. È Cristo che, operando la Redenzione proprio me¬diante la Croce, ha dato un senso nuovo alla sofferen¬za umana. Il nostro Papa dice: “La sofferanza umana ha raggiunto il suo culmi¬ne nella Passione di Cristo. E contemporanea¬mente essa è entrata in una dimensione com¬pletamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore, a quell’amore che crea il bene ri¬cavandolo anche dal male, ricavandolo per mez¬zo della sofferenza, così come il bene supremo della Redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo e costantemente prende da essa il suo avvio. La Croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva. In essa dob¬biamo anche riproporre l’interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la rispo¬sta a questo interrogativo”. Padre Gasparino scrive: “Se nei momenti tremendi della croce siamo capaci di essere tanto padroni della situazione da proiettare la croce nella luce della bontà di Dio, allora sperimentiamo nel profondo che la croce è la salvezza, perché Gesù l’ha santifica¬ta”. E Paolo VI, quando era ancora cardinale a Milano, aveva invocato: “Fa’, o Cristo, che nella certezza del Tuo amore io trovi la risposta a quelle domande che supera¬no questo mistero umano. Fa’ che io senta sulla mia strada dolorosa il Tuo passo sicuro che non mi abbandona!”. Gesù dice ad Alexandrina: “Avanti, figlia mia, l’amore vince, l’amore trion¬fa nel dolore. Il Calvario e la Croce hanno redento il mondo, furono la chiave che aprì le porte del Paradiso. La tua crocifissione continua ad essere la salvez¬za e la pace dell’umanità”. L (8-11-40) Ancora in Le montagne delle spezie leggiamo: “Stima ogni pena una gioia, stima ogni spina una rosa. Poiché tutto fa parte della meravigliosa op¬portunità che ti viene offerta di vincere il male con il bene e di partecipare alla vittoria dell’Amore”. (p. 48) Passando poi a considerare le varie opere caritative nate in soccorso dei sofferenti, il nostro Papa scrive, nella stessa enciclica: “Nel programma messianico di Cristo, che è insieme il programma del Regno di Dio, la sof¬ferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà uma¬na nella «civiltà dell’amore»”.
LE ANIME-VITTIME
“Dio è amore”, e il vero cristiano deve vivere esclusi¬vamente di amore. Questo progetto si concretizza in diversi modi e sot¬to diverse forme, a seconda della personalità, dell’am¬biente, della missione che l’individuo sente di essere chiamato a realizzare. In Alexandrina, crocifissa in un letto per oltre 30 an¬ni, questo amore si esplica nell’unica forma possibile: quella di anima-vittima che, ardente nella fiamma del duplice amore a Gesù e ai fratelli – che in sostanza è l’unico amore a Dio – si vota al dolore immolando¬si, offrendo tutta se stessa, corpo, cuore, anima, alla giustizia divina per la salvezza dei “compagni d’esi¬lio”. Ma, chi è mai “un’anima vittima”? Risponde Gesù ad Alexandrina in estasi: “Io, per salvare i peccatori, scelgo delle anime, metto sulle loro spalle la croce e mi assoggetto ad aiutarle. Felice quell’anima che comprende il valore del¬la sofferenza! La mia croce è soave, se portata per amore a me”. L (10-1-35) E ancora Gesù, ad un’altra mistica che ha voluto re¬stare anonima, rivolge la famosa Supplica:
“La supplica d’amore urgente e viva”
Per salvare il mondo, ho bisogno di anime consacrate che mi siano vere spose corredentrici. Non ne ho abbastanza, me ne mancano. Datemi queste anime. Siate nel numero di queste anime. Il mio Cuore vi attende. Il mio Cuore vi supplica. Ma sappiate bene questo: Sposo crocifisso, io sposo crocifiggendo. Un vero cuore di sposa è la preda dello Sposo, amando tutto ciò che Egli ama. Perciò le anime a me consacrate devono perdersi in me, lasciarsi prendere e consumare da me e per me. Devono, come me, avere una sete ardente della salvezza delle anime e della gloria del Padre mio; amare come me la croce e le sofferenze redentrici. Non volete essere tutte di questo numero? Posso dimostrarvi maggior amore che chiedendovelo? Per voi mi sono fatto vittima: siatemi anche voi ostie interamente consacrate!”
Amare la croce e le sofferenze redentrici”: come le sofferenze possono essere rendentrici? Non compren¬diamo: Pio XII afferma questa realtà come un mistero: «… mistero tremendo, certo, e che non si potrà mai meditare abbastanza: la salvezza di un grande numero [di anime] dipende dalle pre¬ghiere e dalle mortificazioni volontarie, com¬piute a questo fine dai membri del Corpo Mi¬stico di Gesù Cristo”. Meditiamo anche sul fatto che la Madonna a Fatima ha esortato i pastorelli a soffrire per i peccatori. E quei piccoli santi, con quanto slancio hanno accolto l’invito! Sentiamo ora che cosa dice il nostro Papa: «Man mano che l’uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della soffe¬renza. L’uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso però, da questo livello di Cri¬sto, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell’uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e persino la gioia spirituale”. Teniamo presente che queste parole non sono state scritte da chi parla in astratto del senso cristiano della sofferenza, senza mai averla sperimentata. Questa enciclica è stata scritta nel 1984 dal nostro Pa¬pa, dopo che aveva vissuto le sofferenze conseguenti all’attentato del 1981, aggravate dalle molte altre do¬vute al suo ruolo di Capo della Chiesa cattolica. Dunque, per comprendere almeno un poco, dobbia¬mo superare la sfera strettamente umana. Nella stessa enciclica leggiamo: “Coloro che partecipano alle sofferenze di Cri¬sto conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell’infinito tesoro del¬la redenzione del mondo, e possono condivide¬re questo tesoro con gli altri… La Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mon¬do”. E prima, Pio XI, nell’enciclica Miserentissimus Re¬demptor, aveva scritto: “Quanto poi sia urgente, specialmente nel no¬stro secolo, la necessità di espiazione o ripara¬zione, non può ignorare chi, sia con gli occhi che con la mente, considera questo mondo tut¬to sottomesso al maligno (I Gv 5,19)”. A proposito di anime-vittime, San Pio X, nel 1910, ri¬fletteva: “È ardua la vocazione di vittima, poiché il luo¬go della vittima è sul Calvario con Gesù e non nelle dolcezze dell’amore”. (AAS) Sarà ben difficile trovare anime tanto generose ed eroiche da offrirsi vittime! Ma la stessa enciclica di Pio XI prosegue dicendo: “Mentre cresce senza sosta la malizia degli uo¬mini il soffio dello Spirito Santo moltiplica me¬ravigliosamente il numero dei fedeli, dell’uno e dell’altro sesso, che generosamente cercano di riparare per tante ingiurie fatte al Cuore divino e che persino non esitano ad offrire se stessi a Cristo come vittime E, credete, di queste anime lo Spirito Santo ne susci¬ta veramente. Se ci limitiamo alla nostra epoca e all’Italia, tutti ab¬biamo nella mente e nel cuore il fulgido esempio di San padre Pio. Ma meritano di esser ricordate qui, oltre a Luisa Piccareta (1865-1947) e Teresa Musco (1943-1976), altre due anime-vittime meno note: il cappuccino padre Daniele da Samarate e il carmelita¬no padre Maurizio di Gesù Bambino. E chissà quante altre ve ne sono, nascoste, che nessu¬no conosce… Padre Daniele, missionario e apostolo dei lebbrosi, morto di lebbra nel 1924, a soli 48 anni, 26 dei quali passati in missione nel Brasile. Ecco alcune “perle” tratte dal suo diario: “È caduta l’unghia del dito mignolo della mano destra. Dio sia lodato”. (4-6-18) “È caduta l’unghia [la seconda] del dito indice della mano destra. Deo gratias”. (12-6-18) “Ho sparso lacrime abbondanti, che ho offerto al mio Buon Gesù. Sono sempre più prostrato e abbattuto dalla malattia, colpito soprattutto negli occhi, che or¬mai vedono ben poco. Dio sia lodato per tutto quello che fa. Amen”. (15-7-19) “Sto provando anche profonda afflizione di spirito, e grande è la mia prostrazione. Ma «Io ho sperato in Te, Signore, non sarò con¬fuso in eterno…»” (4-9-19) “Mi sento molto prostrato. La malattia mi maltratta in tutte le forme, con piaghe, infiamma¬zioni, dolori di ogni specie. Mio Cuore di Gesù, tutto soffro per Vostro amore. Datemi sempre pazienza e gioia. «Servite il Signore nella gioia»”: (31-1-21) “Il mio stato di salute è a pezzi! Oltre alla vista, sembra che stia perdendo anche la voce: ci so¬no giorni in cui sono rauco e penso che sia un effetto della malattia. Se così fosse, non c’è ri¬medio che tenga. «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia be¬nedetto il nome del Signore». Ho parlato molto durante la mia vita, ho parla¬to anche troppo; non è male che adesso sia ri¬dotto al silenzio, benché forzato. Sopporterò contento questa prova per riparare le molte parole inutili, offensive e peccammo¬se che ho detto durante la mia vita. O mio Dio, accendetemi con il fuoco del Vo¬stro amore divino!”. (15-10-21) Seguono un piccolo brano di una sua lettera e alcune testimonianze: “Vivo separato ed isolato dal consorzio dei miei confratelli, in conseguenza della malattia che Dio volle darmi [mancano ancora 8 anni alla morte!]. Tutti i giorni però ringrazio Iddio della grazia che mi ha fatto, perché riconosco che mi ha fat¬to un favore speciale, né mi sono mancate fino¬ra consolazioni spirituali, quali non avrei mai creduto di avere”. (2-2-16) “Il morale di padre Daniele è sostenuto da una ammirabile serenità di spirito. Non un lamen¬to dal suo labbro… e dico di più: è a Dio grato di questa infermità che riconosce pure come una grazia speciale. Non una sola volta abbia¬mo raccolto dalle sue labbra queste parole: «Sia mille volte benedetto il Signore che mi ha pre¬miato con questa malattia»”. (padre Eliodoro da Inzago, 5-2-24) “Padre Eliodoro mi ripeteva a non finire: «Pa¬dre Daniele ha portato la sua croce pesantissi¬ma con amore. Io l’ho sentito pronunciare pa¬role di gioia e di ringraziamento. Parlava a stento, con grande fatica, ma gioiva sotto quel peso. Sai? Faceva venire addosso una santa invidia: potessimo fare altrettanto!»”. (padre Paolino Pe¬gurri, 1924) “Chi vedeva padre Daniele rimaneva edificato per la sua letizia francescana e perfetta confor¬mità al volere di Dio. Mai nessuno ha lasciato la sua compagnia sen¬za portar via una parola, un pensiero dell’Am¬malato come ricordo per elevarsi a Dio e alle cose superiori”. (madre Josefa de Aquiraz) “Più di una volta sono andata a visitarlo e mi meravigliava vederlo pieno di piaghe, con le di¬ta cadute… non aveva più forma umana e mi fa¬ceva pietà; e lui possedeva nel suo animo pace e tranquillità, fra i dolori; ancora diceva che la lebbra che Dio gli ha data la considerava una grazia, simile a quella della ordinazione sacerdo¬tale”. (suor Anna Felicita Rivolta, 15-6-24) “E là, nascosto al mondo… sotto lo sguardo di Dio e vicino al cuore di questi poveri lebbrosi, che il santo Religioso chiama così teneramente «suoi figli», padre Daniele sta morendo… muo¬re sorridendo, consolando gli altri”. (padre Giulio Maria da Lombaerde, 1924) Padre Maurizio, colpito da una forma di tumore (me¬sotelioma), morì tra i dolori più lancinanti rifiutando l’uso della morfina, per un’accettazione cosciente del suo patire da unire a quello redentore di Cristo, “per la Chiesa, per le vocazioni, per la Pace”. Aveva accolto la diagnosi del suo male come un dono per il 25° di ordinazione sacerdotale! Proponiamo brevi stralci dal suo diario, intitolato L’ostrica perlacea (prossimamente su questo sito…). La spiegazione del titolo, da lui scelto, rivela a quale alta vetta di amore, espressa con accenti poetici sublimi, lo abbia portato la sofferenza: non una sofferenza supinamente subita come una vio¬lenza, ma accolta “come dono di Dio” “Io oso dire che Tu sei per me come «l’ostrica perlacea», perché, se rimango in Te almeno nel pentimento, sai impreziosire tutto di me. Ap¬punto come l’ostrica, tua creatura, la quale, rag¬giunta entro i suoi gusci da un sassolino, un insetto, un granello di sabbia, o comunque da un corpo estraneo, si affretta ad avvolgerlo con la sua bava fino a farne il nucleo di una perla preziosissima. Come è vero che Tu sei la mia preziosità! Gioisco immensamente, Signore, di esser l’anima nera della Tua svelata grandezza. O Dio, mia ostrica perlacea, mio avvolgente amore, mio unico valore, mia opalescente bel¬lezza… Tu che hai dato all’ostrica un riflesso del Tuo delicato amore, finisci la Tua opera in me! Rendi smaltata di Te la mia vita… nascondimi nel cuore della Tua bellezza… e da’ un prezzo al mio nulla, Tu che sei stato svenduto per me (pp. 40-41) “Ed eccolo [il mesotelioma], preciso segno del¬l’Amore che mi vuole partecipe, in qualche mo¬do, della sofferenza di Gesù. Assomigliare a Te, Gesù, è sempre stato il mio desiderio, e non solo per quello che mi hai da¬to, ma anche per quello che continui a prende¬re da me e che volontieri Ti dono”. (p. 79) “Quando sento insistente il grido dell’umanità [di notte],le sue lacrime, il tormento delle sue pene, il suo pianto in una struggente nostalgia di bene, io mi alzo e con affetto mi piego sulla umanità sofferente, cullandola nella preghiera e attendendo che in Dio ritrovi la sua pace (p. 341) “Uno degli aspetti che più mi ha meravigliato è come il dolore sia un fuoco divorante e trasformante. Quando ti aggredisce, se ne vanno le solite pas¬sioni dell’uomo… si annullano i progetti, tutto viene ridotto all’essenziale”. (pp. 189-190) “Prego Gesù che, quando avrò finito di stende¬re le braccia sulla croce, possa gettargliele al collo, una volta per sempre, per i secoli eterni”. “Soffriamo insieme, Gesù mio, ancora questi attimi di attesa! [è l’ultimo diario, a meno di un mese dalla morte, avvenuta il 14-12-97]”. (16-11-97, p. 547) “Il comune penare non è già il primo atto di co¬munione piena? Come mi piacerebbe contem¬plarti direttamente al di là del velo della vita terrena, per misurare con cura i battiti del Tuo Cuore, i fremiti di tutto il Tuo essere, la tensio¬ne composta e appena trattenuta del Tuo amo¬re, la fibrillazione dei Tuoi sentimenti! Li vorrei conoscere per annunziare ai miei fra¬telli Chi sei realmente e quale potente eco han¬no in Te le nostre condizioni terrene”. (p. 547)
II
IL MAGNIFICAT DI ALEXANDRINA
In mezzo ai miei grandi dolori e tribolazioni, la pregbiera cbe più mi sorride è il «Magnificat» Alexandrina L (16-3-36)
Padre Mariano Pinho, primo direttore spirituale di Alexandrina, nella sua biografia intitolata Nel Calva¬rio di Balasar, dopo aver detto che in quest’epoca è ur¬gente la necessità che qualcuno, con una buona dot¬trina ma soprattutto con l’esempio, insegni come è il vivere di un’anima-vittima, afferma: “Abbiamo qui, a nostro avviso, un modello di prima grandezza: Alexan¬drina!”. Allora sentiamo lei, scegliendo dai suoi scritti alcune tra le innumerevoli frasi tanto significative in questo senso: amare ogni croce e ringraziare.
“Tutti i giorni, dopo la S. Comunione, prego il Magnifrcat per ringraziare dei dolori e delle gio¬ie di ogni giorno, ancora prima che arrivino”. S (25-1-46) “Ebbi gioie che subito morirono e spine che sempre rimasero a ferirmi. Tutto ricevetti come doni di Gesù. Tutto Gli offersi ringraziandolo di cuore: «Molte grazie, mio Gesù: le umiliazioni mi fan¬no bene all’anima»”. S (1-8-47) “Vennero ancora spine molto acute a ferirmi. Benedissi per tutto il Signore e, come corona¬mento, pregai il Magnificat!”. S (30-3-45) “Siate benedetto, mio Gesù, il mio eterno «gra¬zie!» sempre, notte e giorno. Grazie, grazie, Gesù, nella consolazione e nel dolore, nella vita e nella morte”. S (3-4-53) “Grazie, grazie, mio Gesù, per tutto il dolore e per tutto l’amore che mi date”. S (13-11-53) Ma come può nascere tanto ringraziamento nel dolore?! Certo che è difficile! Padre Gasparino ammette: “Chi riesce a ringraziare sotto la croce arriva al punto di sperimentare la vetta più alta della sa¬pienza umana”. Forse due sono le fonti a cui bisogna attingere per cercare di arrivare in cima:
L’AMORE A GESÙ. L’anima che ama profondamente, totalmente, anela a fondersi col suo amato, a identi¬ficarsi con lui, quindi a rendersi sempre più simile a lui, in perfetta consonanza di pensieri, di affetti, di azione. Questo possiamo sperimentare nel campo del¬l’amore umano, nell’amore coniugale, qualunque sia il credo religioso degli sposi. L’anima cristiana sente Dio-Trinità come sommo Be¬ne, quindi come primo oggetto del suo amore. Allo¬ra si prostra in adorazione (ricordiamo la famosa “Elevazione” della Beata Elisabetta della Trinità). E, mentre compie il suo cammino sulla Terra, finché vi¬ve nella carne, ha come guida il divino Modello, il Verbo incarnato, Gesù. Ecco che si sforza di unifor¬marsi a tutte le Sue aspirazioni, di agire in ogni circo¬stanza come agirebbe Lui, di rendersi sempre più simile a Lui. Vuole diventare come un piccolo prolun¬gamento della Sua umanità”, un “membro vivo” del Suo Corpo mistico. Chi ambisce ad un fine deve sottostare ai mezzi neces¬sari per arrivarci. Il Padre ha scelto per Gesù il Sacri¬ficio. L’anima che ama totalmente il suo Amato Lo de¬ve amare come Salvatore, ma anche come Crocifisso, quindi offrirsi – liberamente come fece Gesù – per la croce che le viene consegnata. L’anima che arriva a fare questa offerta – non solo ac¬cettazione – dimostra di amare Gesù in sommo grado, perché in sommo grado ha raggiunto l’unione con Lui. Perciò ringrazia.
SALVARE ANIME. Se uno contempla la realtà con gli occhi di Dio, e misura il breve passaggio sulla terra con l’eternità, e confronta le sue brevissime pene – per quanto grandi – con le pene eterne, e ama non solo se stesso ma anche i fratelli, è spinto a sopportare qua¬lunque tribolazione, pur di salvare delle anime. Come quella mamma che si butta nel fuoco per salvare il fi¬glio. E gioisce nel compiere questa sua opera, ringra¬zia per la possibilità di compierla. Certo: il cristiano deve essere convinto del valore sal¬vifico della sua tribolazione offerta con questo scopo. Le anime-vittime hanno in sé questa convinzione, pro¬fondamente, fortemente radicata. E Gesù le aiuta. Sentiamo questo breve colloquio: “«Vengo a te per confortarti per le sofferenze che ti aspettano [verrà privata anche del 20 di¬rettore] e per ringraziarti della riparazione che mi hai data, per le anime che mi hai salvato e per l’eroicità in tutto il tuo soffrire. Figlia mia, figlia mia, grande eroina, il tuo do¬lore nascosto, il tuo aprirti più con me che con nessun altro, sono stati inni ed incensi, onori, lodi e amore che mi hai dato. Grazie, grazie, fi¬glia mia!». «Come potete Voi, in quanto Dio, ringraziare la più piccola e la più indegna delle vostre figlie? Attribuite tutto alla Vostra grandezza e nulla alla mia piccolezza». «Nulla potrei fare, figlia, mia amata, senza la tua fedeltà e generosità. Voglio ringraziarti»”. S (3-1-48) “Grazie, mio Gesù! Ho il Vostro sorriso impres¬so nel cuore. Fate che esso sia sempre il sorriso delle mie lab¬bra, la gioia nel mio dolore, la luce nelle mie te¬nebre, la forza nel mio calvario. Grazie, grazie, mio Gesù: siate sempre la mia forza!”. S (25-10-46) Solo meditando su queste considerazioni possiamo ca¬pire, oltre che ammirare, molte frasi di Alexandrina. “O mio Gesù, che grande prova d’amore mi date, nel farmi soffrire così! Quanto devo rin¬graziarvi, perché mi avete resa tanto simile a Voi!”. L (10-9-39) “Quanto devo a Gesù, per avermi associata alle Sue sofferenze e a quelle della Mamma, e per avermi fatta agonizzare con Lui!”. S (22-8-47) E Gesù le dice: “Ti scelsi per il dolore, figlia mia, ti scelsi per il dolore. E fu attraverso il dolore che ti elevai al più alto grado dell’amore”. S (30-3-51) “Voglio benedire Gesù nel tempo e nell’eterni¬tà, per avermi scelta per il dolore”. S (29-3-46) “Soffrire, e soffrire sempre! Amore con amor si paga: fu per amore a me che Gesù soffrì e morì; e solo per amore voglio soffrire e morire”. L (21-11-36) “Voglio forza per soffrire e amore per amare L (7-3-39) “Inventate, Gesù, inventate tutte le sofferenze per questo nulla che con Voi è tutto, affinché io Vi possa salvare anime, Vi faccia conosciuto ed amato da tutti. Vedete, mio Gesù, le mie aspirazioni: non vo¬glio che regni sulla Terra se non il Vostro amore in tutti i cuori. E per questo che voglio soffrire tutto e non avere altro vivere se non il dolore”. L (3-7-39) “Il soffrire non costa, perché l’amore vince tut¬to. Ma ha molto da vincere!”. L (18-12-39) “Per sopportare il dolore, bisogna spremersi in amore. S (26-8-55) Lo slancio d’amore di Alexandrina arriva proprio fino alla follia della croce, come dimostrano le frasi che se¬guono: “Vedo nella croce amore e dolore, amore e do¬lore senza fine. E questo amore, è questo dolo¬re che io voglio: è questa croce che ho abbrac¬ciata per il mio Gesù e per le anime”. L (28-8-47) “Il dolore purifica, il dolore eleva l’anima a Dio. Benedetto il dolore che dà amore!”. L (3-1-40) “Voglio gridare forte al mondo: è con tutta la gioia che io abbraccio tutto que¬sto martirio di dolore, perché sento che non vi è nulla di meglio del dolore per unirci a Gesù”. L (10-4-40) “Ho il mio corpo pieno di legacci [è legata a dure assi, perché le ossa si sconnettono], sento tutte le ossa sconnettersi. Ma è questa e soltanto questa la mia gioia: soffrire per Gesù. Non mi importa che, ancora in vita, tutto il mio corpo si dissolva in putredine, se alla Sua divina volontà piacerà così. Ciò che io voglio è a¬marlo, Lui solo, solo Lui. Non voglio perdere un solo momento di sofferenza: voglio che essa sia usata in favore delle anime, delle mie anime, che costarono il preziosissimo sangue del mio amato Gesù”. L (13-9-48) “O dolore, dolore mio amato, io non posso se¬pararmi da te! Ti voglio indicibilmente bene, perché solo tu mi elevi al mio Signore”. S (17-7-53) “Amo la sofferenza: è la mia maggior ricchez¬za sulla Terra. Il dolore mi dà Gesù: Gesù mi dà amore”. L (30-7-40) “O soffrire, o il Cielo. Che valore può avere la vita, se non soffro, se non amo?”. S (31-5-45) “O mia croce, mia amata croce, quanto ti vo¬glio! Cosa vedo io mai nella mia croce? Vedo amore, ma un amore senza limiti, un amore senza l’uguale; e vedo dolore, ma un dolore che racchiude tutti i dolori: è un insieme di dolori. Io ho abbracciata la mia croce amata: e questo è un abbraccio eterno… Amore, dolore, croce è una cosa mia: la voglio per Gesù e per le anime”. S (15-8-47) “In Cielo canterò le tue lodi eternamente, o Mamma celeste; sulla Terra voglio solo soffrire e amare. Tutto passa, tutto muore. Solo la grazia di Gesù ci fa vivere eternamen¬te”. (sul retro di un’immaginetta) Sta bene inserita qui una bella “perla” di San padre Pio: “Niente desidero se non amare e soffrire. Padre mio, anche in mezzo a tante sofferenze, sono fe¬lice perché sembrami di sentire il cuore palpitare con quello di Gesù”. “Il Cuore divino di Gesù non cessava, in me, di amare: era nel mio cuore che Egli amava l’uma¬nità intera. Non potevo cessare di amare la croce: vedevo e sentivo che solo essa era la vita”. S (11-1-52) O soffrire, o morire, mio Gesù… Povera me, povera me, mio Gesù, se mi toglie¬ste il dolore! Io non saprei vivere senza soffrire: la vita sen¬za dolore sarebbe per me insopportabile. Non vi è nulla che si possa paragonare alla dol¬cezza della croce, quando la accettiamo e la portiamo per amore. E per Voi, Gesù, è per le anime che io soffro e che voglio e che accetto quanto Voi volete e mi date”. S (9-1-53) “Amo il mio calvario con tutte le sofferenze. Mi pare che, se cessassi di soffrire, cesserei di ama¬re: più sono spremuta, più divento folle d’amo¬re per Voi, mio Gesù”. S (21-2-47) Gesù le dice: “Tu hai aumentato in te l’amore al mio Cuore divino, a misura che in te è aumentato il dolo¬re”. S (3-10-47) “… vivrai nel dolore e nell’amore; e nel dolore e nell’amore morirai. Avrai l’amore in propor¬zione del dolore”. S (7-3-47) “Nulla vi è che mi consoli e mi dia sollievo co¬me il dolore rassegnato, il dolore sofferto con gioia perché è accompagnato dall’amore. Il dolore, con l’amore, continua ad essere la sal¬vezza delle anime”. S (23-7-48) “Va’, tortorella dei tabernacoli, tortorella delle prigioni divine: canta con gioia il tuo inno di dolore che sale al Cielo come inno del più gran¬de amore”. S (10-5-46) Concludiamo con Alexandrina: “Vieni, o dolore benedetto! Vieni, o peso annichilatore, a ridurmi al nulla e a strapparmi la vita! La mia morte farà risuscitare le anime per Ge¬sù”. L (2-4-40)
III
IMPAREREMO ANCHE NOI A CANTARE SEMPRE IL MAGNIFICAT?
Gesù, aumenta il nostro amore e, con la Tua grazia, riusciremo!
Ogni anima cristiana deve tendere alla perfezione: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli” (Mt 5,48), esorta Gesù. Ma non ogni anima cristiana deve diventare anima-vittima! Abbiamo visto che Gesù “sceglie” solo alcune anime cui affidare tale missione, poiché il bene spirituale di ogni singolo membro è anche il bene di tutti – e così il male -, a causa della “Comunione dei santi” (ossia la comunicazione dei beni), delle anime non scelte per questo ha una sua diversa missione, che le viene comunque affidata, e diventa santa sforzandosi di compiere in ogni momen¬to il suo dovere con la massima cura, con il massimo amore, non sprecando neppure un minuto del tempo che le è concesso di trascorrere sulla Terra. Essa do¬vrà “tirare avanti”, sempre avanti, con la massima fi¬ducia nel Suo Creatore. Infatti un cristiano crede – e deve tenere salda questa fede nei momenti difficili, più dolorosi – che tutto quanto accade è o voluto o permesso da Dio, un Dio che è amore e quindi non può volere che un bene, anche se qualche evento è umanamente inconcepibile come bene. Meditiamo sulla fede della Madre Corredentrice pres¬so la Croce! Nei momenti delle contrarietà, delle prove, l’anima cristiana deve assumere un atteggiamento che non è ribellione né prostrazione, ma umile supplica, richie¬sta di aiuto, talora insistente; deve affidarsi al Padre con la certezza di essere da Lui amata, quindi con la fiducia di essere esaudita, nella forma che sarà per il miglior bene, e magari diversa dalla sua aspettativa. Ma è sempre per un fine più alto, che l’orante neppure immagina: lo comprenderà dopo, forse dopo lunghi anni, o forse neppure in questa vita. Alexandrina invocava di guarire per diventare missio¬naria; è stata esaudita nel diventare missionaria in modo cento volte più potente, ma non con la guari¬gione. Gesù, nostro divino Modello, durante le angosce del¬l’agonia nell’Orto degli ulivi, ha pregato, ha invocato, “offrì preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime a Dio Padre… ed è stato esaudito per la Sua pietà” (Eb 5,7). Esaudito! Con la morte in croce. Ma ha ottenuto quello che voleva: la Redenzione. La grazia richiesta può non esser concessa, se il con¬cederla porta ad un danno per l’anima. Gesù dice a Santa Gemma Galgani: “Quanti mi avrebbero abbandonato, se non li avessi crocifissi!” Abbiamo detto che Cristo risorto continua lungo i se¬coli ad operare e a soffrire nei suoi membri. Un cristiano che soffre non deve quindi sentirsi isolato e inutile nella sua sofferenza. Infatti, sempre nella Salvifici doloris si legge: “Operando la Redenzione mediante la soffe¬renza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di Redenzione. Quindi anche ogni uomo, ogni donna, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza reden¬tiva di Cristo”. (p. 28) “L’uomo, scoprendo mediante la fede la soffe¬renza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato”. (p. 29) Quindi, ogni cristiano – credente – può cooperare con la sua sofferenza al proseguimento della Reden¬zione, come fece Maria, la più grande cooperatrice per la salvezza dell’umanità. Può, nel suo piccolo, es¬sere coinvolto in questa grande opera, “con la convm¬zione di essere oggetto di un piano amoroso del Si¬gnore, che tutto dispone per il nostro bene”. Può, ma bisogna che riesca ad accettare e ad offrire con amore le sue tribolazioni, unendole, per questo scopo, ai patimenti di Gesù. L’amore redime e trasforma la sofferenza. E da qui na¬sce la vera gioia, anche in ogni anima, senza che sia proprio un’anima-vittima. “La gioia è dolore superato e trasformato”. Cerchiamo anche noi di imparare a reagire sempre al dolore, in modo da riuscire a trasformarlo in gioia. Ma ci vuole del tempo perché un’anima tribolata ar¬rivi a questo livello spirituale… Innanzitutto quest’anima deve trovare aiuto nella pre¬ghiera, in una vera preghiera, ben fatta, profonda, vi¬brante di amore filiale: “A Dio tutto è possibile, anche compiere il su¬peramento dell’uomo” (…). Alexandrina stessa, già scelta per diventare anima-vit¬tima, ha impiegato tanti anni per arrivare a capire il valore della sua sofferenza, e a trasformarla: quante preghiere, novene, offerte da parte sua e dei suoi cari, per ottenere la guarigione! Ed è riuscita a sublimare tutto il suo patire con l’amo¬re a Gesù e alle anime da salvare. Quale sublime vetta ha raggiunto! Ma, convinta che tutto il suo amore-dolore da solo non bastava, così si è rivolta a Gesù: “Gesù, rivestite le mie povere sofferenze e tutto quanto possa servirvi di riparazione, con le Vo¬stre infinite sofferenze”. S (1-11-46) “Io Vi offro il mio dolore, il mio povero dolo¬re che per se stesso non vale nulla; è sempre ai dolori della Mamma che lo unisco e tramite le Sue mani santissime che Ve lo offro. Unite tutto ai meriti della Vostra santa Passio¬ne e consegnate questo valore infinito al Vostro Eterno Padre. Chiedetegli Voi che perdoni il mondo, che non lo castighi ora: che aspetti la sua conversione. S (16-12-49) Gesù allora le dice: “Tu senti che le tue sofferenze e tutto il tuo vi¬vere non valgono nulla. Ma in Me, unite ai meriti della mia santa Pas¬sione, valgono proprio tutto. Confida: nulla della tua vita va perduto, anche delle cose più piccole”. S (1-7-49) E il salmista canta: “Le mie lacrime nell’otre Tuo raccogli”. (SI 55,9)
CONCLUSIONE
Dopo questa breve meditazione sul dolore umano, una fredda logica potrebbe arrivare a concludere: al¬lora non devo invocare di essere liberato da questa tri¬bolazione che mi attanaglia, non devo chiedere la gra¬zia che cessi questo dolore, ma solo la grazia di aiutar¬mi a cambiare il mio modo di viverlo, per offrirlo co¬me mezzo di redenzione… Eh, no! Questo ragionamento può essere fatto solo da chi non conosce il dolore e non conosce la nostra na¬tura umana. Dobbiamo iniziare a chiedere secondo il nostro desi¬derio, rivolti a Dio come ad un padre che ci ama, che ci ascolta; e chiedere anche con insistenza, soprattutto se sappiamo che la nostra richesta non è contraria al bene delle anime. Pensiamo ai tanti esempi che trovia¬mo nel Vangelo: tutte le richieste cli guarigione fisica accolte col miracolo operato da Gesù! Solo se, dopo l’insistenza nell’invocare, comprendia¬mo che la volontà di Dio non è secondo quel nostro desiderio, solo allora: “Padre, non sia fatta la mia, ma la Tua volontà” (Lc 22,42). Questo disse il nostro divino Modello durante l’ago¬nia nell’Orto degli ulivi. Allora, caro amico lettore che ti dibatti nell’angoscia del tuo dolore, fa’ uno sforzo, con l’aiuto della pre¬ghiera: esci da te stesso, dal tuo ristretto mondo e contempla il dolore universale dell’intera umanità; as¬sociati a tutti coloro che sono riusciti ad unire i loro patimenti a quelli di Cristo, entra anche tu nel fiume che continua la Redenzione! Armati di pazienza, perché è difficile quel “tuffo” e ci vuole del tempo per prepararlo; ma insisti e ci riusci¬rai. Tieni presente che Gesù aiuta. (…)
Maria, nostro aiuto, preghi per te!
A Te, Madre Addolorata, questo umile e devoto omaggio: aiutaci ad imitarti! Che quelle ali ci portino sempre più vicino a Dio.
Preghiera
per la glorificazione della Serva di Dio Alexandrina Maria da Costa.
O Trinità Santissima, Ti adoro e Ti ringrazio perché ci hai donato l’esempio di Alexandrina, scintilla purissima del tuo amore. Ti prego di aiutarmi ad imitarla: che io mi consumi in un anelito sempre più ardente a dedicarmi a Te e ai fratelli. Ti chiedo umilmente di glorificarla con la Beatificazione e di concerdermi, per la sua intercessione, la grazia che ardentemente ti chiedo.
Breve biografia.
Alexandrina Maria da Costa, cooperatrice salesiana, nasce a Balasar, Portogallo, il 30 marzo 1904. Mistica del nostro secolo, della quale è n corso la causa di beatificazione, è anche la porta¬voce della volontà di Dio nella richiesta di consacrazione del mon¬do al Cuore Immacolato di Maria che Pio XII proclama nel 1942. A 20 anni rimane paralizzata nel letto a causa di una mielite alla spina dorsale, conseguente ad un salto fatto a 14 anni dalla fine¬stra di casa, per salvare la sua purezza da tre uomini male inten¬zionati. Nella solitudine della sua cameretta, Alexandrina diventa l’ange¬lo consolatore di Gesù Presso tutti i Tabernacoli del mondo e, con¬temporaneamente ostia nell’ostia Divina, con Gesù la vittima immolato per la salvezza delle anime. Alexandrina infatti vive misticamente, nel corpo e nell’anima, la Passione di nostro Signore, dall’agonia del Getsemani alla crocifis¬sione sul Calvario in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e profanazioni eucaristiche. Durante ali ultimi 13 anni di vita, Alexandrina vive di sola Eucari¬stia, senza alimentarsi più. Durante le estasi, varie volte Gesù le ripeteva: “…Faccio in modo che tu viva solo di me per mostrare al mondo il valore dell’Eucaristia, e ciò che è la mia vita per le anime…” “Parla alle anime, figlia mia, parla loro del rosario e dell’Eucarestia! Il rosario, il rosario, io il rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e il mio sangue! Tra le mura della sua cameretta, Alexandrina riceve folle di perso¬ne che accoglie sempre sorridendo, nonostante le grandi sofferen¬ze che ininterrottamente vive nel corpo e nello spirito. Il suo sorriso che diviene trasparenza del Cielo, irradiazione della vita divina, tocca i cuori delle folle che escono da quella cameret¬ta, portando il segno del silenzioso cambiamento interiore. Il 13 ottobre 1955 avviene il passaggio di Alexandrina dalla vita terrena a quella del Cielo. il 12 gennaio 1996 la Chiesa la proclama venerabile per la gloria di Dio e la gioia di tutti i suoi figli.
I
DOLORE TRASFIGURATO
Come è mai possibile gioire nella tribolazione?! È inconcepibile, è assurdo, un paradosso! Infatti, se ci si limita ad un piano strettamente terre¬no, la natura umana rifugge da ogni tipo di sofferen¬za, sia essa fisica, morale o spirituale. La stessa nostra Alexandrina dice: “La natura vuol scuotersi di dosso il peso della croce… La natura pare rivoltarsi contro di essa: tenta di fuggir via da ogni parte”. s (24-7-53) Su questo siamo tutti perfettamente d’accordo. Ma non c’è forse nell’essere umano anche una com¬ponente ultraterrena, che può essere in contrasto con la natura terrena, in vista di un Bene, di un Bello supenore? Una madre si getta nel fuoco per strapparne un figlio, e gioisce nel salvarlo. Quindi si può trovare gioia dove la natura trova orro¬re. E unicamente con questa prospettiva di un bene superiore che possiamo comprendere non solo l’eroi¬smo di certi santi, dei martiri, ma anche la gioia subli¬me, la letizia (San Francesco) con cui affrontarono ogni tribolazione, ogni tortura. Ma quale è mai la forza che ci fa fare questo “salto di qualità”, che ci fa vincere l’opposizione della natura terrena? È l’amore, soltanto l’amore! Quella mamma non vincerebbe l’orrore di buttarsi nel fuoco, se non amasse il figlio. “Omnia vicit amor”.
AMORE-DOLORE.
Su questa terra, chi ama soffre. Ogni anima sensibile che ama non può fare a meno di soffrire partecipan¬do alle tribolazioni dei suoi cari e contemplando lo stato in cui si trova la povera umanità. Dice Alexandrina nel diario del 16-2-51: “Amavo e, poiché amavo, soffrivo”. E molti anni prima, nell’estasi del 2-12-44, Gesù le aveva detto, riferendosi al suo dolore morale: “Il dolore è figlio dell’amore. È con il dolore e con l’amore che tu dai la vita ai figli miei”. È connaturato con la natura umana questo binomio inscindibile: amore-dolore. Chiunque lo vive, indipen¬dentemente dal suo credo religioso, o dal suo stato di non-credente. Ma nel cristiano c’è una forza in più: vedremo. Il cristiano crede nella Redenzione operata da Cristo mediante la Croce. Non possiamo certo noi, piccole creature seminate su una “particella” dell’immenso universo e dotate di una intelligenza tanto limitata, pretendere di capire perché il Sacrjficio di Cristo, così atroce, sia stato scelto per la Redenzione umana, per rimediare ai danni di un “pasticciaccio” avvenuto alle origini, a causa di quella zizzania seminata dal nemico. Non possiamo capire. Ma il cristiano crede in una Rivelazione che presenta il Verbo incarnato, Gesù, Vittima offerta alla giustizia dell’Eterno Padre per riparare i mali dell’umanità. Un Gesù che è morto, ma è anche risorto, che è tuttora vivo, costantemente presente ed operante lungo il cammino della storia, attraverso i membri del suo Corpo Mistico. Poiché nell’umanità il male continua a sussistere, an¬che la Redenzione deve continuare, quindi la soffe¬renza. È giustamente famosa la frase di Paolo: “Completo nella mia carne quello che manca alla Passione di Cristo”. (Col
1,24) Non che la Passione di Cristo fosse incompleta: essa continua nei secoli in Cristo stesso operante nei Suoi membri, come abbiamo detto. Merita attenzione anche un’altra frase, più forte: “Sono stato crocifisso con Cristo; dunque non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal 2,19-20) Alexandrina sente Gesù che le dice: “Tu soffri, ma sono io che soffro in te. Tu sof¬fri, ma io mi sono rivestito del tuo corpo, per¬ché tu potessi camminare con la tua croce e salire il tuo calvario. Tu vinci con la forza divina. L (27-8-40) Nel libro Le montagne delle spezie, di Hanna Nur¬nard (grande teologa secondo padre Gasparino), tro¬viamo questa affermazione di Gesù: “Nessuno è solo a soffrire il suo male: Io ho creato, Io mi carico, Io espio”. È questo Cristo la forza del cristiano. È Cristo che, operando la Redenzione proprio me¬diante la Croce, ha dato un senso nuovo alla sofferen¬za umana. Il nostro Papa dice: “La sofferanza umana ha raggiunto il suo culmi¬ne nella Passione di Cristo. E contemporanea¬mente essa è entrata in una dimensione com¬pletamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore, a quell’amore che crea il bene ri¬cavandolo anche dal male, ricavandolo per mez¬zo della sofferenza, così come il bene supremo della Redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo e costantemente prende da essa il suo avvio. La Croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva. In essa dob¬biamo anche riproporre l’interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la rispo¬sta a questo interrogativo”. Padre Gasparino scrive: “Se nei momenti tremendi della croce siamo capaci di essere tanto padroni della situazione da proiettare la croce nella luce della bontà di Dio, allora sperimentiamo nel profondo che la croce è la salvezza, perché Gesù l’ha santifica¬ta”. E Paolo VI, quando era ancora cardinale a Milano, aveva invocato: “Fa’, o Cristo, che nella certezza del Tuo amore io trovi la risposta a quelle domande che supera¬no questo mistero umano. Fa’ che io senta sulla mia strada dolorosa il Tuo passo sicuro che non mi abbandona!”. Gesù dice ad Alexandrina: “Avanti, figlia mia, l’amore vince, l’amore trion¬fa nel dolore. Il Calvario e la Croce hanno redento il mondo, furono la chiave che aprì le porte del Paradiso. La tua crocifissione continua ad essere la salvez¬za e la pace dell’umanità”. L (8-11-40) Ancora in Le montagne delle spezie leggiamo: “Stima ogni pena una gioia, stima ogni spina una rosa. Poiché tutto fa parte della meravigliosa op¬portunità che ti viene offerta di vincere il male con il bene e di partecipare alla vittoria dell’Amore”. (p. 48) Passando poi a considerare le varie opere caritative nate in soccorso dei sofferenti, il nostro Papa scrive, nella stessa enciclica: “Nel programma messianico di Cristo, che è insieme il programma del Regno di Dio, la sof¬ferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà uma¬na nella «civiltà dell’amore»”.
LE ANIME-VITTIME
“Dio è amore”, e il vero cristiano deve vivere esclusi¬vamente di amore. Questo progetto si concretizza in diversi modi e sot¬to diverse forme, a seconda della personalità, dell’am¬biente, della missione che l’individuo sente di essere chiamato a realizzare. In Alexandrina, crocifissa in un letto per oltre 30 an¬ni, questo amore si esplica nell’unica forma possibile: quella di anima-vittima che, ardente nella fiamma del duplice amore a Gesù e ai fratelli – che in sostanza è l’unico amore a Dio – si vota al dolore immolando¬si, offrendo tutta se stessa, corpo, cuore, anima, alla giustizia divina per la salvezza dei “compagni d’esi¬lio”. Ma, chi è mai “un’anima vittima”? Risponde Gesù ad Alexandrina in estasi: “Io, per salvare i peccatori, scelgo delle anime, metto sulle loro spalle la croce e mi assoggetto ad aiutarle. Felice quell’anima che comprende il valore del¬la sofferenza! La mia croce è soave, se portata per amore a me”. L (10-1-35) E ancora Gesù, ad un’altra mistica che ha voluto re¬stare anonima, rivolge la famosa Supplica:
“La supplica d’amore urgente e viva”
Per salvare il mondo, ho bisogno di anime consacrate che mi siano vere spose corredentrici. Non ne ho abbastanza, me ne mancano. Datemi queste anime. Siate nel numero di queste anime. Il mio Cuore vi attende. Il mio Cuore vi supplica. Ma sappiate bene questo: Sposo crocifisso, io sposo crocifiggendo. Un vero cuore di sposa è la preda dello Sposo, amando tutto ciò che Egli ama. Perciò le anime a me consacrate devono perdersi in me, lasciarsi prendere e consumare da me e per me. Devono, come me, avere una sete ardente della salvezza delle anime e della gloria del Padre mio; amare come me la croce e le sofferenze redentrici. Non volete essere tutte di questo numero? Posso dimostrarvi maggior amore che chiedendovelo? Per voi mi sono fatto vittima: siatemi anche voi ostie interamente consacrate!”
Amare la croce e le sofferenze redentrici”: come le sofferenze possono essere rendentrici? Non compren¬diamo: Pio XII afferma questa realtà come un mistero: «… mistero tremendo, certo, e che non si potrà mai meditare abbastanza: la salvezza di un grande numero [di anime] dipende dalle pre¬ghiere e dalle mortificazioni volontarie, com¬piute a questo fine dai membri del Corpo Mi¬stico di Gesù Cristo”. Meditiamo anche sul fatto che la Madonna a Fatima ha esortato i pastorelli a soffrire per i peccatori. E quei piccoli santi, con quanto slancio hanno accolto l’invito! Sentiamo ora che cosa dice il nostro Papa: «Man mano che l’uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della soffe¬renza. L’uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso però, da questo livello di Cri¬sto, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell’uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e persino la gioia spirituale”. Teniamo presente che queste parole non sono state scritte da chi parla in astratto del senso cristiano della sofferenza, senza mai averla sperimentata. Questa enciclica è stata scritta nel 1984 dal nostro Pa¬pa, dopo che aveva vissuto le sofferenze conseguenti all’attentato del 1981, aggravate dalle molte altre do¬vute al suo ruolo di Capo della Chiesa cattolica. Dunque, per comprendere almeno un poco, dobbia¬mo superare la sfera strettamente umana. Nella stessa enciclica leggiamo: “Coloro che partecipano alle sofferenze di Cri¬sto conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell’infinito tesoro del¬la redenzione del mondo, e possono condivide¬re questo tesoro con gli altri… La Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mon¬do”. E prima, Pio XI, nell’enciclica Miserentissimus Re¬demptor, aveva scritto: “Quanto poi sia urgente, specialmente nel no¬stro secolo, la necessità di espiazione o ripara¬zione, non può ignorare chi, sia con gli occhi che con la mente, considera questo mondo tut¬to sottomesso al maligno (I Gv 5,19)”. A proposito di anime-vittime, San Pio X, nel 1910, ri¬fletteva: “È ardua la vocazione di vittima, poiché il luo¬go della vittima è sul Calvario con Gesù e non nelle dolcezze dell’amore”. (AAS) Sarà ben difficile trovare anime tanto generose ed eroiche da offrirsi vittime! Ma la stessa enciclica di Pio XI prosegue dicendo: “Mentre cresce senza sosta la malizia degli uo¬mini il soffio dello Spirito Santo moltiplica me¬ravigliosamente il numero dei fedeli, dell’uno e dell’altro sesso, che generosamente cercano di riparare per tante ingiurie fatte al Cuore divino e che persino non esitano ad offrire se stessi a Cristo come vittime E, credete, di queste anime lo Spirito Santo ne susci¬ta veramente. Se ci limitiamo alla nostra epoca e all’Italia, tutti ab¬biamo nella mente e nel cuore il fulgido esempio di San padre Pio. Ma meritano di esser ricordate qui, oltre a Luisa Piccareta (1865-1947) e Teresa Musco (1943-1976), altre due anime-vittime meno note: il cappuccino padre Daniele da Samarate e il carmelita¬no padre Maurizio di Gesù Bambino. E chissà quante altre ve ne sono, nascoste, che nessu¬no conosce… Padre Daniele, missionario e apostolo dei lebbrosi, morto di lebbra nel 1924, a soli 48 anni, 26 dei quali passati in missione nel Brasile. Ecco alcune “perle” tratte dal suo diario: “È caduta l’unghia del dito mignolo della mano destra. Dio sia lodato”. (4-6-18) “È caduta l’unghia [la seconda] del dito indice della mano destra. Deo gratias”. (12-6-18) “Ho sparso lacrime abbondanti, che ho offerto al mio Buon Gesù. Sono sempre più prostrato e abbattuto dalla malattia, colpito soprattutto negli occhi, che or¬mai vedono ben poco. Dio sia lodato per tutto quello che fa. Amen”. (15-7-19) “Sto provando anche profonda afflizione di spirito, e grande è la mia prostrazione. Ma «Io ho sperato in Te, Signore, non sarò con¬fuso in eterno…»” (4-9-19) “Mi sento molto prostrato. La malattia mi maltratta in tutte le forme, con piaghe, infiamma¬zioni, dolori di ogni specie. Mio Cuore di Gesù, tutto soffro per Vostro amore. Datemi sempre pazienza e gioia. «Servite il Signore nella gioia»”: (31-1-21) “Il mio stato di salute è a pezzi! Oltre alla vista, sembra che stia perdendo anche la voce: ci so¬no giorni in cui sono rauco e penso che sia un effetto della malattia. Se così fosse, non c’è ri¬medio che tenga. «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia be¬nedetto il nome del Signore». Ho parlato molto durante la mia vita, ho parla¬to anche troppo; non è male che adesso sia ri¬dotto al silenzio, benché forzato. Sopporterò contento questa prova per riparare le molte parole inutili, offensive e peccammo¬se che ho detto durante la mia vita. O mio Dio, accendetemi con il fuoco del Vo¬stro amore divino!”. (15-10-21) Seguono un piccolo brano di una sua lettera e alcune testimonianze: “Vivo separato ed isolato dal consorzio dei miei confratelli, in conseguenza della malattia che Dio volle darmi [mancano ancora 8 anni alla morte!]. Tutti i giorni però ringrazio Iddio della grazia che mi ha fatto, perché riconosco che mi ha fat¬to un favore speciale, né mi sono mancate fino¬ra consolazioni spirituali, quali non avrei mai creduto di avere”. (2-2-16) “Il morale di padre Daniele è sostenuto da una ammirabile serenità di spirito. Non un lamen¬to dal suo labbro… e dico di più: è a Dio grato di questa infermità che riconosce pure come una grazia speciale. Non una sola volta abbia¬mo raccolto dalle sue labbra queste parole: «Sia mille volte benedetto il Signore che mi ha pre¬miato con questa malattia»”. (padre Eliodoro da Inzago, 5-2-24) “Padre Eliodoro mi ripeteva a non finire: «Pa¬dre Daniele ha portato la sua croce pesantissi¬ma con amore. Io l’ho sentito pronunciare pa¬role di gioia e di ringraziamento. Parlava a stento, con grande fatica, ma gioiva sotto quel peso. Sai? Faceva venire addosso una santa invidia: potessimo fare altrettanto!»”. (padre Paolino Pe¬gurri, 1924) “Chi vedeva padre Daniele rimaneva edificato per la sua letizia francescana e perfetta confor¬mità al volere di Dio. Mai nessuno ha lasciato la sua compagnia sen¬za portar via una parola, un pensiero dell’Am¬malato come ricordo per elevarsi a Dio e alle cose superiori”. (madre Josefa de Aquiraz) “Più di una volta sono andata a visitarlo e mi meravigliava vederlo pieno di piaghe, con le di¬ta cadute… non aveva più forma umana e mi fa¬ceva pietà; e lui possedeva nel suo animo pace e tranquillità, fra i dolori; ancora diceva che la lebbra che Dio gli ha data la considerava una grazia, simile a quella della ordinazione sacerdo¬tale”. (suor Anna Felicita Rivolta, 15-6-24) “E là, nascosto al mondo… sotto lo sguardo di Dio e vicino al cuore di questi poveri lebbrosi, che il santo Religioso chiama così teneramente «suoi figli», padre Daniele sta morendo… muo¬re sorridendo, consolando gli altri”. (padre Giulio Maria da Lombaerde, 1924) Padre Maurizio, colpito da una forma di tumore (me¬sotelioma), morì tra i dolori più lancinanti rifiutando l’uso della morfina, per un’accettazione cosciente del suo patire da unire a quello redentore di Cristo, “per la Chiesa, per le vocazioni, per la Pace”. Aveva accolto la diagnosi del suo male come un dono per il 25° di ordinazione sacerdotale! Proponiamo brevi stralci dal suo diario, intitolato L’ostrica perlacea (prossimamente su questo sito…). La spiegazione del titolo, da lui scelto, rivela a quale alta vetta di amore, espressa con accenti poetici sublimi, lo abbia portato la sofferenza: non una sofferenza supinamente subita come una vio¬lenza, ma accolta “come dono di Dio” “Io oso dire che Tu sei per me come «l’ostrica perlacea», perché, se rimango in Te almeno nel pentimento, sai impreziosire tutto di me. Ap¬punto come l’ostrica, tua creatura, la quale, rag¬giunta entro i suoi gusci da un sassolino, un insetto, un granello di sabbia, o comunque da un corpo estraneo, si affretta ad avvolgerlo con la sua bava fino a farne il nucleo di una perla preziosissima. Come è vero che Tu sei la mia preziosità! Gioisco immensamente, Signore, di esser l’anima nera della Tua svelata grandezza. O Dio, mia ostrica perlacea, mio avvolgente amore, mio unico valore, mia opalescente bel¬lezza… Tu che hai dato all’ostrica un riflesso del Tuo delicato amore, finisci la Tua opera in me! Rendi smaltata di Te la mia vita… nascondimi nel cuore della Tua bellezza… e da’ un prezzo al mio nulla, Tu che sei stato svenduto per me (pp. 40-41) “Ed eccolo [il mesotelioma], preciso segno del¬l’Amore che mi vuole partecipe, in qualche mo¬do, della sofferenza di Gesù. Assomigliare a Te, Gesù, è sempre stato il mio desiderio, e non solo per quello che mi hai da¬to, ma anche per quello che continui a prende¬re da me e che volontieri Ti dono”. (p. 79) “Quando sento insistente il grido dell’umanità [di notte],le sue lacrime, il tormento delle sue pene, il suo pianto in una struggente nostalgia di bene, io mi alzo e con affetto mi piego sulla umanità sofferente, cullandola nella preghiera e attendendo che in Dio ritrovi la sua pace (p. 341) “Uno degli aspetti che più mi ha meravigliato è come il dolore sia un fuoco divorante e trasformante. Quando ti aggredisce, se ne vanno le solite pas¬sioni dell’uomo… si annullano i progetti, tutto viene ridotto all’essenziale”. (pp. 189-190) “Prego Gesù che, quando avrò finito di stende¬re le braccia sulla croce, possa gettargliele al collo, una volta per sempre, per i secoli eterni”. “Soffriamo insieme, Gesù mio, ancora questi attimi di attesa! [è l’ultimo diario, a meno di un mese dalla morte, avvenuta il 14-12-97]”. (16-11-97, p. 547) “Il comune penare non è già il primo atto di co¬munione piena? Come mi piacerebbe contem¬plarti direttamente al di là del velo della vita terrena, per misurare con cura i battiti del Tuo Cuore, i fremiti di tutto il Tuo essere, la tensio¬ne composta e appena trattenuta del Tuo amo¬re, la fibrillazione dei Tuoi sentimenti! Li vorrei conoscere per annunziare ai miei fra¬telli Chi sei realmente e quale potente eco han¬no in Te le nostre condizioni terrene”. (p. 547)
II
IL MAGNIFICAT DI ALEXANDRINA
In mezzo ai miei grandi dolori e tribolazioni, la pregbiera cbe più mi sorride è il «Magnificat» Alexandrina L (16-3-36)
Padre Mariano Pinho, primo direttore spirituale di Alexandrina, nella sua biografia intitolata Nel Calva¬rio di Balasar, dopo aver detto che in quest’epoca è ur¬gente la necessità che qualcuno, con una buona dot¬trina ma soprattutto con l’esempio, insegni come è il vivere di un’anima-vittima, afferma: “Abbiamo qui, a nostro avviso, un modello di prima grandezza: Alexan¬drina!”. Allora sentiamo lei, scegliendo dai suoi scritti alcune tra le innumerevoli frasi tanto significative in questo senso: amare ogni croce e ringraziare.
“Tutti i giorni, dopo la S. Comunione, prego il Magnifrcat per ringraziare dei dolori e delle gio¬ie di ogni giorno, ancora prima che arrivino”. S (25-1-46) “Ebbi gioie che subito morirono e spine che sempre rimasero a ferirmi. Tutto ricevetti come doni di Gesù. Tutto Gli offersi ringraziandolo di cuore: «Molte grazie, mio Gesù: le umiliazioni mi fan¬no bene all’anima»”. S (1-8-47) “Vennero ancora spine molto acute a ferirmi. Benedissi per tutto il Signore e, come corona¬mento, pregai il Magnificat!”. S (30-3-45) “Siate benedetto, mio Gesù, il mio eterno «gra¬zie!» sempre, notte e giorno. Grazie, grazie, Gesù, nella consolazione e nel dolore, nella vita e nella morte”. S (3-4-53) “Grazie, grazie, mio Gesù, per tutto il dolore e per tutto l’amore che mi date”. S (13-11-53) Ma come può nascere tanto ringraziamento nel dolore?! Certo che è difficile! Padre Gasparino ammette: “Chi riesce a ringraziare sotto la croce arriva al punto di sperimentare la vetta più alta della sa¬pienza umana”. Forse due sono le fonti a cui bisogna attingere per cercare di arrivare in cima:
L’AMORE A GESÙ. L’anima che ama profondamente, totalmente, anela a fondersi col suo amato, a identi¬ficarsi con lui, quindi a rendersi sempre più simile a lui, in perfetta consonanza di pensieri, di affetti, di azione. Questo possiamo sperimentare nel campo del¬l’amore umano, nell’amore coniugale, qualunque sia il credo religioso degli sposi. L’anima cristiana sente Dio-Trinità come sommo Be¬ne, quindi come primo oggetto del suo amore. Allo¬ra si prostra in adorazione (ricordiamo la famosa “Elevazione” della Beata Elisabetta della Trinità). E, mentre compie il suo cammino sulla Terra, finché vi¬ve nella carne, ha come guida il divino Modello, il Verbo incarnato, Gesù. Ecco che si sforza di unifor¬marsi a tutte le Sue aspirazioni, di agire in ogni circo¬stanza come agirebbe Lui, di rendersi sempre più simile a Lui. Vuole diventare come un piccolo prolun¬gamento della Sua umanità”, un “membro vivo” del Suo Corpo mistico. Chi ambisce ad un fine deve sottostare ai mezzi neces¬sari per arrivarci. Il Padre ha scelto per Gesù il Sacri¬ficio. L’anima che ama totalmente il suo Amato Lo de¬ve amare come Salvatore, ma anche come Crocifisso, quindi offrirsi – liberamente come fece Gesù – per la croce che le viene consegnata. L’anima che arriva a fare questa offerta – non solo ac¬cettazione – dimostra di amare Gesù in sommo grado, perché in sommo grado ha raggiunto l’unione con Lui. Perciò ringrazia.
SALVARE ANIME. Se uno contempla la realtà con gli occhi di Dio, e misura il breve passaggio sulla terra con l’eternità, e confronta le sue brevissime pene – per quanto grandi – con le pene eterne, e ama non solo se stesso ma anche i fratelli, è spinto a sopportare qua¬lunque tribolazione, pur di salvare delle anime. Come quella mamma che si butta nel fuoco per salvare il fi¬glio. E gioisce nel compiere questa sua opera, ringra¬zia per la possibilità di compierla. Certo: il cristiano deve essere convinto del valore sal¬vifico della sua tribolazione offerta con questo scopo. Le anime-vittime hanno in sé questa convinzione, pro¬fondamente, fortemente radicata. E Gesù le aiuta. Sentiamo questo breve colloquio: “«Vengo a te per confortarti per le sofferenze che ti aspettano [verrà privata anche del 20 di¬rettore] e per ringraziarti della riparazione che mi hai data, per le anime che mi hai salvato e per l’eroicità in tutto il tuo soffrire. Figlia mia, figlia mia, grande eroina, il tuo do¬lore nascosto, il tuo aprirti più con me che con nessun altro, sono stati inni ed incensi, onori, lodi e amore che mi hai dato. Grazie, grazie, fi¬glia mia!». «Come potete Voi, in quanto Dio, ringraziare la più piccola e la più indegna delle vostre figlie? Attribuite tutto alla Vostra grandezza e nulla alla mia piccolezza». «Nulla potrei fare, figlia, mia amata, senza la tua fedeltà e generosità. Voglio ringraziarti»”. S (3-1-48) “Grazie, mio Gesù! Ho il Vostro sorriso impres¬so nel cuore. Fate che esso sia sempre il sorriso delle mie lab¬bra, la gioia nel mio dolore, la luce nelle mie te¬nebre, la forza nel mio calvario. Grazie, grazie, mio Gesù: siate sempre la mia forza!”. S (25-10-46) Solo meditando su queste considerazioni possiamo ca¬pire, oltre che ammirare, molte frasi di Alexandrina. “O mio Gesù, che grande prova d’amore mi date, nel farmi soffrire così! Quanto devo rin¬graziarvi, perché mi avete resa tanto simile a Voi!”. L (10-9-39) “Quanto devo a Gesù, per avermi associata alle Sue sofferenze e a quelle della Mamma, e per avermi fatta agonizzare con Lui!”. S (22-8-47) E Gesù le dice: “Ti scelsi per il dolore, figlia mia, ti scelsi per il dolore. E fu attraverso il dolore che ti elevai al più alto grado dell’amore”. S (30-3-51) “Voglio benedire Gesù nel tempo e nell’eterni¬tà, per avermi scelta per il dolore”. S (29-3-46) “Soffrire, e soffrire sempre! Amore con amor si paga: fu per amore a me che Gesù soffrì e morì; e solo per amore voglio soffrire e morire”. L (21-11-36) “Voglio forza per soffrire e amore per amare L (7-3-39) “Inventate, Gesù, inventate tutte le sofferenze per questo nulla che con Voi è tutto, affinché io Vi possa salvare anime, Vi faccia conosciuto ed amato da tutti. Vedete, mio Gesù, le mie aspirazioni: non vo¬glio che regni sulla Terra se non il Vostro amore in tutti i cuori. E per questo che voglio soffrire tutto e non avere altro vivere se non il dolore”. L (3-7-39) “Il soffrire non costa, perché l’amore vince tut¬to. Ma ha molto da vincere!”. L (18-12-39) “Per sopportare il dolore, bisogna spremersi in amore. S (26-8-55) Lo slancio d’amore di Alexandrina arriva proprio fino alla follia della croce, come dimostrano le frasi che se¬guono: “Vedo nella croce amore e dolore, amore e do¬lore senza fine. E questo amore, è questo dolo¬re che io voglio: è questa croce che ho abbrac¬ciata per il mio Gesù e per le anime”. L (28-8-47) “Il dolore purifica, il dolore eleva l’anima a Dio. Benedetto il dolore che dà amore!”. L (3-1-40) “Voglio gridare forte al mondo: è con tutta la gioia che io abbraccio tutto que¬sto martirio di dolore, perché sento che non vi è nulla di meglio del dolore per unirci a Gesù”. L (10-4-40) “Ho il mio corpo pieno di legacci [è legata a dure assi, perché le ossa si sconnettono], sento tutte le ossa sconnettersi. Ma è questa e soltanto questa la mia gioia: soffrire per Gesù. Non mi importa che, ancora in vita, tutto il mio corpo si dissolva in putredine, se alla Sua divina volontà piacerà così. Ciò che io voglio è a¬marlo, Lui solo, solo Lui. Non voglio perdere un solo momento di sofferenza: voglio che essa sia usata in favore delle anime, delle mie anime, che costarono il preziosissimo sangue del mio amato Gesù”. L (13-9-48) “O dolore, dolore mio amato, io non posso se¬pararmi da te! Ti voglio indicibilmente bene, perché solo tu mi elevi al mio Signore”. S (17-7-53) “Amo la sofferenza: è la mia maggior ricchez¬za sulla Terra. Il dolore mi dà Gesù: Gesù mi dà amore”. L (30-7-40) “O soffrire, o il Cielo. Che valore può avere la vita, se non soffro, se non amo?”. S (31-5-45) “O mia croce, mia amata croce, quanto ti vo¬glio! Cosa vedo io mai nella mia croce? Vedo amore, ma un amore senza limiti, un amore senza l’uguale; e vedo dolore, ma un dolore che racchiude tutti i dolori: è un insieme di dolori. Io ho abbracciata la mia croce amata: e questo è un abbraccio eterno… Amore, dolore, croce è una cosa mia: la voglio per Gesù e per le anime”. S (15-8-47) “In Cielo canterò le tue lodi eternamente, o Mamma celeste; sulla Terra voglio solo soffrire e amare. Tutto passa, tutto muore. Solo la grazia di Gesù ci fa vivere eternamen¬te”. (sul retro di un’immaginetta) Sta bene inserita qui una bella “perla” di San padre Pio: “Niente desidero se non amare e soffrire. Padre mio, anche in mezzo a tante sofferenze, sono fe¬lice perché sembrami di sentire il cuore palpitare con quello di Gesù”. “Il Cuore divino di Gesù non cessava, in me, di amare: era nel mio cuore che Egli amava l’uma¬nità intera. Non potevo cessare di amare la croce: vedevo e sentivo che solo essa era la vita”. S (11-1-52) O soffrire, o morire, mio Gesù… Povera me, povera me, mio Gesù, se mi toglie¬ste il dolore! Io non saprei vivere senza soffrire: la vita sen¬za dolore sarebbe per me insopportabile. Non vi è nulla che si possa paragonare alla dol¬cezza della croce, quando la accettiamo e la portiamo per amore. E per Voi, Gesù, è per le anime che io soffro e che voglio e che accetto quanto Voi volete e mi date”. S (9-1-53) “Amo il mio calvario con tutte le sofferenze. Mi pare che, se cessassi di soffrire, cesserei di ama¬re: più sono spremuta, più divento folle d’amo¬re per Voi, mio Gesù”. S (21-2-47) Gesù le dice: “Tu hai aumentato in te l’amore al mio Cuore divino, a misura che in te è aumentato il dolo¬re”. S (3-10-47) “… vivrai nel dolore e nell’amore; e nel dolore e nell’amore morirai. Avrai l’amore in propor¬zione del dolore”. S (7-3-47) “Nulla vi è che mi consoli e mi dia sollievo co¬me il dolore rassegnato, il dolore sofferto con gioia perché è accompagnato dall’amore. Il dolore, con l’amore, continua ad essere la sal¬vezza delle anime”. S (23-7-48) “Va’, tortorella dei tabernacoli, tortorella delle prigioni divine: canta con gioia il tuo inno di dolore che sale al Cielo come inno del più gran¬de amore”. S (10-5-46) Concludiamo con Alexandrina: “Vieni, o dolore benedetto! Vieni, o peso annichilatore, a ridurmi al nulla e a strapparmi la vita! La mia morte farà risuscitare le anime per Ge¬sù”. L (2-4-40)
III
IMPAREREMO ANCHE NOI A CANTARE SEMPRE IL MAGNIFICAT?
Gesù, aumenta il nostro amore e, con la Tua grazia, riusciremo!
Ogni anima cristiana deve tendere alla perfezione: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli” (Mt 5,48), esorta Gesù. Ma non ogni anima cristiana deve diventare anima-vittima! Abbiamo visto che Gesù “sceglie” solo alcune anime cui affidare tale missione, poiché il bene spirituale di ogni singolo membro è anche il bene di tutti – e così il male -, a causa della “Comunione dei santi” (ossia la comunicazione dei beni), delle anime non scelte per questo ha una sua diversa missione, che le viene comunque affidata, e diventa santa sforzandosi di compiere in ogni momen¬to il suo dovere con la massima cura, con il massimo amore, non sprecando neppure un minuto del tempo che le è concesso di trascorrere sulla Terra. Essa do¬vrà “tirare avanti”, sempre avanti, con la massima fi¬ducia nel Suo Creatore. Infatti un cristiano crede – e deve tenere salda questa fede nei momenti difficili, più dolorosi – che tutto quanto accade è o voluto o permesso da Dio, un Dio che è amore e quindi non può volere che un bene, anche se qualche evento è umanamente inconcepibile come bene. Meditiamo sulla fede della Madre Corredentrice pres¬so la Croce! Nei momenti delle contrarietà, delle prove, l’anima cristiana deve assumere un atteggiamento che non è ribellione né prostrazione, ma umile supplica, richie¬sta di aiuto, talora insistente; deve affidarsi al Padre con la certezza di essere da Lui amata, quindi con la fiducia di essere esaudita, nella forma che sarà per il miglior bene, e magari diversa dalla sua aspettativa. Ma è sempre per un fine più alto, che l’orante neppure immagina: lo comprenderà dopo, forse dopo lunghi anni, o forse neppure in questa vita. Alexandrina invocava di guarire per diventare missio¬naria; è stata esaudita nel diventare missionaria in modo cento volte più potente, ma non con la guari¬gione. Gesù, nostro divino Modello, durante le angosce del¬l’agonia nell’Orto degli ulivi, ha pregato, ha invocato, “offrì preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime a Dio Padre… ed è stato esaudito per la Sua pietà” (Eb 5,7). Esaudito! Con la morte in croce. Ma ha ottenuto quello che voleva: la Redenzione. La grazia richiesta può non esser concessa, se il con¬cederla porta ad un danno per l’anima. Gesù dice a Santa Gemma Galgani: “Quanti mi avrebbero abbandonato, se non li avessi crocifissi!” Abbiamo detto che Cristo risorto continua lungo i se¬coli ad operare e a soffrire nei suoi membri. Un cristiano che soffre non deve quindi sentirsi isolato e inutile nella sua sofferenza. Infatti, sempre nella Salvifici doloris si legge: “Operando la Redenzione mediante la soffe¬renza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di Redenzione. Quindi anche ogni uomo, ogni donna, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza reden¬tiva di Cristo”. (p. 28) “L’uomo, scoprendo mediante la fede la soffe¬renza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato”. (p. 29) Quindi, ogni cristiano – credente – può cooperare con la sua sofferenza al proseguimento della Reden¬zione, come fece Maria, la più grande cooperatrice per la salvezza dell’umanità. Può, nel suo piccolo, es¬sere coinvolto in questa grande opera, “con la convm¬zione di essere oggetto di un piano amoroso del Si¬gnore, che tutto dispone per il nostro bene”. Può, ma bisogna che riesca ad accettare e ad offrire con amore le sue tribolazioni, unendole, per questo scopo, ai patimenti di Gesù. L’amore redime e trasforma la sofferenza. E da qui na¬sce la vera gioia, anche in ogni anima, senza che sia proprio un’anima-vittima. “La gioia è dolore superato e trasformato”. Cerchiamo anche noi di imparare a reagire sempre al dolore, in modo da riuscire a trasformarlo in gioia. Ma ci vuole del tempo perché un’anima tribolata ar¬rivi a questo livello spirituale… Innanzitutto quest’anima deve trovare aiuto nella pre¬ghiera, in una vera preghiera, ben fatta, profonda, vi¬brante di amore filiale: “A Dio tutto è possibile, anche compiere il su¬peramento dell’uomo” (…). Alexandrina stessa, già scelta per diventare anima-vit¬tima, ha impiegato tanti anni per arrivare a capire il valore della sua sofferenza, e a trasformarla: quante preghiere, novene, offerte da parte sua e dei suoi cari, per ottenere la guarigione! Ed è riuscita a sublimare tutto il suo patire con l’amo¬re a Gesù e alle anime da salvare. Quale sublime vetta ha raggiunto! Ma, convinta che tutto il suo amore-dolore da solo non bastava, così si è rivolta a Gesù: “Gesù, rivestite le mie povere sofferenze e tutto quanto possa servirvi di riparazione, con le Vo¬stre infinite sofferenze”. S (1-11-46) “Io Vi offro il mio dolore, il mio povero dolo¬re che per se stesso non vale nulla; è sempre ai dolori della Mamma che lo unisco e tramite le Sue mani santissime che Ve lo offro. Unite tutto ai meriti della Vostra santa Passio¬ne e consegnate questo valore infinito al Vostro Eterno Padre. Chiedetegli Voi che perdoni il mondo, che non lo castighi ora: che aspetti la sua conversione. S (16-12-49) Gesù allora le dice: “Tu senti che le tue sofferenze e tutto il tuo vi¬vere non valgono nulla. Ma in Me, unite ai meriti della mia santa Pas¬sione, valgono proprio tutto. Confida: nulla della tua vita va perduto, anche delle cose più piccole”. S (1-7-49) E il salmista canta: “Le mie lacrime nell’otre Tuo raccogli”. (SI 55,9)
CONCLUSIONE
Dopo questa breve meditazione sul dolore umano, una fredda logica potrebbe arrivare a concludere: al¬lora non devo invocare di essere liberato da questa tri¬bolazione che mi attanaglia, non devo chiedere la gra¬zia che cessi questo dolore, ma solo la grazia di aiutar¬mi a cambiare il mio modo di viverlo, per offrirlo co¬me mezzo di redenzione… Eh, no! Questo ragionamento può essere fatto solo da chi non conosce il dolore e non conosce la nostra na¬tura umana. Dobbiamo iniziare a chiedere secondo il nostro desi¬derio, rivolti a Dio come ad un padre che ci ama, che ci ascolta; e chiedere anche con insistenza, soprattutto se sappiamo che la nostra richesta non è contraria al bene delle anime. Pensiamo ai tanti esempi che trovia¬mo nel Vangelo: tutte le richieste cli guarigione fisica accolte col miracolo operato da Gesù! Solo se, dopo l’insistenza nell’invocare, comprendia¬mo che la volontà di Dio non è secondo quel nostro desiderio, solo allora: “Padre, non sia fatta la mia, ma la Tua volontà” (Lc 22,42). Questo disse il nostro divino Modello durante l’ago¬nia nell’Orto degli ulivi. Allora, caro amico lettore che ti dibatti nell’angoscia del tuo dolore, fa’ uno sforzo, con l’aiuto della pre¬ghiera: esci da te stesso, dal tuo ristretto mondo e contempla il dolore universale dell’intera umanità; as¬sociati a tutti coloro che sono riusciti ad unire i loro patimenti a quelli di Cristo, entra anche tu nel fiume che continua la Redenzione! Armati di pazienza, perché è difficile quel “tuffo” e ci vuole del tempo per prepararlo; ma insisti e ci riusci¬rai. Tieni presente che Gesù aiuta. (…)
Maria, nostro aiuto, preghi per te!
A Te, Madre Addolorata, questo umile e devoto omaggio: aiutaci ad imitarti! Che quelle ali ci portino sempre più vicino a Dio.
Preghiera
per la glorificazione della Serva di Dio Alexandrina Maria da Costa.
O Trinità Santissima, Ti adoro e Ti ringrazio perché ci hai donato l’esempio di Alexandrina, scintilla purissima del tuo amore. Ti prego di aiutarmi ad imitarla: che io mi consumi in un anelito sempre più ardente a dedicarmi a Te e ai fratelli. Ti chiedo umilmente di glorificarla con la Beatificazione e di concerdermi, per la sua intercessione, la grazia che ardentemente ti chiedo.
Breve biografia.
Alexandrina Maria da Costa, cooperatrice salesiana, nasce a Balasar, Portogallo, il 30 marzo 1904. Mistica del nostro secolo, della quale è n corso la causa di beatificazione, è anche la porta¬voce della volontà di Dio nella richiesta di consacrazione del mon¬do al Cuore Immacolato di Maria che Pio XII proclama nel 1942. A 20 anni rimane paralizzata nel letto a causa di una mielite alla spina dorsale, conseguente ad un salto fatto a 14 anni dalla fine¬stra di casa, per salvare la sua purezza da tre uomini male inten¬zionati. Nella solitudine della sua cameretta, Alexandrina diventa l’ange¬lo consolatore di Gesù Presso tutti i Tabernacoli del mondo e, con¬temporaneamente ostia nell’ostia Divina, con Gesù la vittima immolato per la salvezza delle anime. Alexandrina infatti vive misticamente, nel corpo e nell’anima, la Passione di nostro Signore, dall’agonia del Getsemani alla crocifis¬sione sul Calvario in riparazione degli oltraggi, sacrilegi e profanazioni eucaristiche. Durante ali ultimi 13 anni di vita, Alexandrina vive di sola Eucari¬stia, senza alimentarsi più. Durante le estasi, varie volte Gesù le ripeteva: “…Faccio in modo che tu viva solo di me per mostrare al mondo il valore dell’Eucaristia, e ciò che è la mia vita per le anime…” “Parla alle anime, figlia mia, parla loro del rosario e dell’Eucarestia! Il rosario, il rosario, io il rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e il mio sangue! Tra le mura della sua cameretta, Alexandrina riceve folle di perso¬ne che accoglie sempre sorridendo, nonostante le grandi sofferen¬ze che ininterrottamente vive nel corpo e nello spirito. Il suo sorriso che diviene trasparenza del Cielo, irradiazione della vita divina, tocca i cuori delle folle che escono da quella cameret¬ta, portando il segno del silenzioso cambiamento interiore. Il 13 ottobre 1955 avviene il passaggio di Alexandrina dalla vita terrena a quella del Cielo. il 12 gennaio 1996 la Chiesa la proclama venerabile per la gloria di Dio e la gioia di tutti i suoi figli.
I
DOLORE TRASFIGURATO
Come è mai possibile gioire nella tribolazione?! È inconcepibile, è assurdo, un paradosso! Infatti, se ci si limita ad un piano strettamente terre¬no, la natura umana rifugge da ogni tipo di sofferen¬za, sia essa fisica, morale o spirituale. La stessa nostra Alexandrina dice: “La natura vuol scuotersi di dosso il peso della croce… La natura pare rivoltarsi contro di essa: tenta di fuggir via da ogni parte”. s (24-7-53) Su questo siamo tutti perfettamente d’accordo. Ma non c’è forse nell’essere umano anche una com¬ponente ultraterrena, che può essere in contrasto con la natura terrena, in vista di un Bene, di un Bello supenore? Una madre si getta nel fuoco per strapparne un figlio, e gioisce nel salvarlo. Quindi si può trovare gioia dove la natura trova orro¬re. E unicamente con questa prospettiva di un bene superiore che possiamo comprendere non solo l’eroi¬smo di certi santi, dei martiri, ma anche la gioia subli¬me, la letizia (San Francesco) con cui affrontarono ogni tribolazione, ogni tortura. Ma quale è mai la forza che ci fa fare questo “salto di qualità”, che ci fa vincere l’opposizione della natura terrena? È l’amore, soltanto l’amore! Quella mamma non vincerebbe l’orrore di buttarsi nel fuoco, se non amasse il figlio. “Omnia vicit amor”.
AMORE-DOLORE.
Su questa terra, chi ama soffre. Ogni anima sensibile che ama non può fare a meno di soffrire partecipan¬do alle tribolazioni dei suoi cari e contemplando lo stato in cui si trova la povera umanità. Dice Alexandrina nel diario del 16-2-51: “Amavo e, poiché amavo, soffrivo”. E molti anni prima, nell’estasi del 2-12-44, Gesù le aveva detto, riferendosi al suo dolore morale: “Il dolore è figlio dell’amore. È con il dolore e con l’amore che tu dai la vita ai figli miei”. È connaturato con la natura umana questo binomio inscindibile: amore-dolore. Chiunque lo vive, indipen¬dentemente dal suo credo religioso, o dal suo stato di non-credente. Ma nel cristiano c’è una forza in più: vedremo. Il cristiano crede nella Redenzione operata da Cristo mediante la Croce. Non possiamo certo noi, piccole creature seminate su una “particella” dell’immenso universo e dotate di una intelligenza tanto limitata, pretendere di capire perché il Sacrjficio di Cristo, così atroce, sia stato scelto per la Redenzione umana, per rimediare ai danni di un “pasticciaccio” avvenuto alle origini, a causa di quella zizzania seminata dal nemico. Non possiamo capire. Ma il cristiano crede in una Rivelazione che presenta il Verbo incarnato, Gesù, Vittima offerta alla giustizia dell’Eterno Padre per riparare i mali dell’umanità. Un Gesù che è morto, ma è anche risorto, che è tuttora vivo, costantemente presente ed operante lungo il cammino della storia, attraverso i membri del suo Corpo Mistico. Poiché nell’umanità il male continua a sussistere, an¬che la Redenzione deve continuare, quindi la soffe¬renza. È giustamente famosa la frase di Paolo: “Completo nella mia carne quello che manca alla Passione di Cristo”. (Col
1,24) Non che la Passione di Cristo fosse incompleta: essa continua nei secoli in Cristo stesso operante nei Suoi membri, come abbiamo detto. Merita attenzione anche un’altra frase, più forte: “Sono stato crocifisso con Cristo; dunque non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me”. (Gal 2,19-20) Alexandrina sente Gesù che le dice: “Tu soffri, ma sono io che soffro in te. Tu sof¬fri, ma io mi sono rivestito del tuo corpo, per¬ché tu potessi camminare con la tua croce e salire il tuo calvario. Tu vinci con la forza divina. L (27-8-40) Nel libro Le montagne delle spezie, di Hanna Nur¬nard (grande teologa secondo padre Gasparino), tro¬viamo questa affermazione di Gesù: “Nessuno è solo a soffrire il suo male: Io ho creato, Io mi carico, Io espio”. È questo Cristo la forza del cristiano. È Cristo che, operando la Redenzione proprio me¬diante la Croce, ha dato un senso nuovo alla sofferen¬za umana. Il nostro Papa dice: “La sofferanza umana ha raggiunto il suo culmi¬ne nella Passione di Cristo. E contemporanea¬mente essa è entrata in una dimensione com¬pletamente nuova e in un nuovo ordine: è stata legata all’amore, a quell’amore che crea il bene ri¬cavandolo anche dal male, ricavandolo per mez¬zo della sofferenza, così come il bene supremo della Redenzione del mondo è stato tratto dalla Croce di Cristo e costantemente prende da essa il suo avvio. La Croce di Cristo è diventata una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi di acqua viva. In essa dob¬biamo anche riproporre l’interrogativo sul senso della sofferenza, e leggervi sino alla fine la rispo¬sta a questo interrogativo”. Padre Gasparino scrive: “Se nei momenti tremendi della croce siamo capaci di essere tanto padroni della situazione da proiettare la croce nella luce della bontà di Dio, allora sperimentiamo nel profondo che la croce è la salvezza, perché Gesù l’ha santifica¬ta”. E Paolo VI, quando era ancora cardinale a Milano, aveva invocato: “Fa’, o Cristo, che nella certezza del Tuo amore io trovi la risposta a quelle domande che supera¬no questo mistero umano. Fa’ che io senta sulla mia strada dolorosa il Tuo passo sicuro che non mi abbandona!”. Gesù dice ad Alexandrina: “Avanti, figlia mia, l’amore vince, l’amore trion¬fa nel dolore. Il Calvario e la Croce hanno redento il mondo, furono la chiave che aprì le porte del Paradiso. La tua crocifissione continua ad essere la salvez¬za e la pace dell’umanità”. L (8-11-40) Ancora in Le montagne delle spezie leggiamo: “Stima ogni pena una gioia, stima ogni spina una rosa. Poiché tutto fa parte della meravigliosa op¬portunità che ti viene offerta di vincere il male con il bene e di partecipare alla vittoria dell’Amore”. (p. 48) Passando poi a considerare le varie opere caritative nate in soccorso dei sofferenti, il nostro Papa scrive, nella stessa enciclica: “Nel programma messianico di Cristo, che è insieme il programma del Regno di Dio, la sof¬ferenza è presente nel mondo per sprigionare amore, per far nascere opere di amore verso il prossimo, per trasformare tutta la civiltà uma¬na nella «civiltà dell’amore»”.
LE ANIME-VITTIME
“Dio è amore”, e il vero cristiano deve vivere esclusi¬vamente di amore. Questo progetto si concretizza in diversi modi e sot¬to diverse forme, a seconda della personalità, dell’am¬biente, della missione che l’individuo sente di essere chiamato a realizzare. In Alexandrina, crocifissa in un letto per oltre 30 an¬ni, questo amore si esplica nell’unica forma possibile: quella di anima-vittima che, ardente nella fiamma del duplice amore a Gesù e ai fratelli – che in sostanza è l’unico amore a Dio – si vota al dolore immolando¬si, offrendo tutta se stessa, corpo, cuore, anima, alla giustizia divina per la salvezza dei “compagni d’esi¬lio”. Ma, chi è mai “un’anima vittima”? Risponde Gesù ad Alexandrina in estasi: “Io, per salvare i peccatori, scelgo delle anime, metto sulle loro spalle la croce e mi assoggetto ad aiutarle. Felice quell’anima che comprende il valore del¬la sofferenza! La mia croce è soave, se portata per amore a me”. L (10-1-35) E ancora Gesù, ad un’altra mistica che ha voluto re¬stare anonima, rivolge la famosa Supplica:
“La supplica d’amore urgente e viva”
Per salvare il mondo, ho bisogno di anime consacrate che mi siano vere spose corredentrici. Non ne ho abbastanza, me ne mancano. Datemi queste anime. Siate nel numero di queste anime. Il mio Cuore vi attende. Il mio Cuore vi supplica. Ma sappiate bene questo: Sposo crocifisso, io sposo crocifiggendo. Un vero cuore di sposa è la preda dello Sposo, amando tutto ciò che Egli ama. Perciò le anime a me consacrate devono perdersi in me, lasciarsi prendere e consumare da me e per me. Devono, come me, avere una sete ardente della salvezza delle anime e della gloria del Padre mio; amare come me la croce e le sofferenze redentrici. Non volete essere tutte di questo numero? Posso dimostrarvi maggior amore che chiedendovelo? Per voi mi sono fatto vittima: siatemi anche voi ostie interamente consacrate!”
Amare la croce e le sofferenze redentrici”: come le sofferenze possono essere rendentrici? Non compren¬diamo: Pio XII afferma questa realtà come un mistero: «… mistero tremendo, certo, e che non si potrà mai meditare abbastanza: la salvezza di un grande numero [di anime] dipende dalle pre¬ghiere e dalle mortificazioni volontarie, com¬piute a questo fine dai membri del Corpo Mi¬stico di Gesù Cristo”. Meditiamo anche sul fatto che la Madonna a Fatima ha esortato i pastorelli a soffrire per i peccatori. E quei piccoli santi, con quanto slancio hanno accolto l’invito! Sentiamo ora che cosa dice il nostro Papa: «Man mano che l’uomo prende la sua croce, unendosi spiritualmente alla Croce di Cristo, si rivela davanti a lui il senso salvifico della soffe¬renza. L’uomo non scopre questo senso al suo livello umano, ma al livello della sofferenza di Cristo. Al tempo stesso però, da questo livello di Cri¬sto, quel senso salvifico della sofferenza scende a livello dell’uomo e diventa, in qualche modo, la sua risposta personale. E allora l’uomo trova nella sua sofferenza la pace interiore e persino la gioia spirituale”. Teniamo presente che queste parole non sono state scritte da chi parla in astratto del senso cristiano della sofferenza, senza mai averla sperimentata. Questa enciclica è stata scritta nel 1984 dal nostro Pa¬pa, dopo che aveva vissuto le sofferenze conseguenti all’attentato del 1981, aggravate dalle molte altre do¬vute al suo ruolo di Capo della Chiesa cattolica. Dunque, per comprendere almeno un poco, dobbia¬mo superare la sfera strettamente umana. Nella stessa enciclica leggiamo: “Coloro che partecipano alle sofferenze di Cri¬sto conservano nelle proprie sofferenze una specialissima particella dell’infinito tesoro del¬la redenzione del mondo, e possono condivide¬re questo tesoro con gli altri… La Chiesa sente il bisogno di ricorrere al valore delle sofferenze umane per la salvezza del mon¬do”. E prima, Pio XI, nell’enciclica Miserentissimus Re¬demptor, aveva scritto: “Quanto poi sia urgente, specialmente nel no¬stro secolo, la necessità di espiazione o ripara¬zione, non può ignorare chi, sia con gli occhi che con la mente, considera questo mondo tut¬to sottomesso al maligno (I Gv 5,19)”. A proposito di anime-vittime, San Pio X, nel 1910, ri¬fletteva: “È ardua la vocazione di vittima, poiché il luo¬go della vittima è sul Calvario con Gesù e non nelle dolcezze dell’amore”. (AAS) Sarà ben difficile trovare anime tanto generose ed eroiche da offrirsi vittime! Ma la stessa enciclica di Pio XI prosegue dicendo: “Mentre cresce senza sosta la malizia degli uo¬mini il soffio dello Spirito Santo moltiplica me¬ravigliosamente il numero dei fedeli, dell’uno e dell’altro sesso, che generosamente cercano di riparare per tante ingiurie fatte al Cuore divino e che persino non esitano ad offrire se stessi a Cristo come vittime E, credete, di queste anime lo Spirito Santo ne susci¬ta veramente. Se ci limitiamo alla nostra epoca e all’Italia, tutti ab¬biamo nella mente e nel cuore il fulgido esempio di San padre Pio. Ma meritano di esser ricordate qui, oltre a Luisa Piccareta (1865-1947) e Teresa Musco (1943-1976), altre due anime-vittime meno note: il cappuccino padre Daniele da Samarate e il carmelita¬no padre Maurizio di Gesù Bambino. E chissà quante altre ve ne sono, nascoste, che nessu¬no conosce… Padre Daniele, missionario e apostolo dei lebbrosi, morto di lebbra nel 1924, a soli 48 anni, 26 dei quali passati in missione nel Brasile. Ecco alcune “perle” tratte dal suo diario: “È caduta l’unghia del dito mignolo della mano destra. Dio sia lodato”. (4-6-18) “È caduta l’unghia [la seconda] del dito indice della mano destra. Deo gratias”. (12-6-18) “Ho sparso lacrime abbondanti, che ho offerto al mio Buon Gesù. Sono sempre più prostrato e abbattuto dalla malattia, colpito soprattutto negli occhi, che or¬mai vedono ben poco. Dio sia lodato per tutto quello che fa. Amen”. (15-7-19) “Sto provando anche profonda afflizione di spirito, e grande è la mia prostrazione. Ma «Io ho sperato in Te, Signore, non sarò con¬fuso in eterno…»” (4-9-19) “Mi sento molto prostrato. La malattia mi maltratta in tutte le forme, con piaghe, infiamma¬zioni, dolori di ogni specie. Mio Cuore di Gesù, tutto soffro per Vostro amore. Datemi sempre pazienza e gioia. «Servite il Signore nella gioia»”: (31-1-21) “Il mio stato di salute è a pezzi! Oltre alla vista, sembra che stia perdendo anche la voce: ci so¬no giorni in cui sono rauco e penso che sia un effetto della malattia. Se così fosse, non c’è ri¬medio che tenga. «Il Signore ha dato, il Signore ha tolto: sia be¬nedetto il nome del Signore». Ho parlato molto durante la mia vita, ho parla¬to anche troppo; non è male che adesso sia ri¬dotto al silenzio, benché forzato. Sopporterò contento questa prova per riparare le molte parole inutili, offensive e peccammo¬se che ho detto durante la mia vita. O mio Dio, accendetemi con il fuoco del Vo¬stro amore divino!”. (15-10-21) Seguono un piccolo brano di una sua lettera e alcune testimonianze: “Vivo separato ed isolato dal consorzio dei miei confratelli, in conseguenza della malattia che Dio volle darmi [mancano ancora 8 anni alla morte!]. Tutti i giorni però ringrazio Iddio della grazia che mi ha fatto, perché riconosco che mi ha fat¬to un favore speciale, né mi sono mancate fino¬ra consolazioni spirituali, quali non avrei mai creduto di avere”. (2-2-16) “Il morale di padre Daniele è sostenuto da una ammirabile serenità di spirito. Non un lamen¬to dal suo labbro… e dico di più: è a Dio grato di questa infermità che riconosce pure come una grazia speciale. Non una sola volta abbia¬mo raccolto dalle sue labbra queste parole: «Sia mille volte benedetto il Signore che mi ha pre¬miato con questa malattia»”. (padre Eliodoro da Inzago, 5-2-24) “Padre Eliodoro mi ripeteva a non finire: «Pa¬dre Daniele ha portato la sua croce pesantissi¬ma con amore. Io l’ho sentito pronunciare pa¬role di gioia e di ringraziamento. Parlava a stento, con grande fatica, ma gioiva sotto quel peso. Sai? Faceva venire addosso una santa invidia: potessimo fare altrettanto!»”. (padre Paolino Pe¬gurri, 1924) “Chi vedeva padre Daniele rimaneva edificato per la sua letizia francescana e perfetta confor¬mità al volere di Dio. Mai nessuno ha lasciato la sua compagnia sen¬za portar via una parola, un pensiero dell’Am¬malato come ricordo per elevarsi a Dio e alle cose superiori”. (madre Josefa de Aquiraz) “Più di una volta sono andata a visitarlo e mi meravigliava vederlo pieno di piaghe, con le di¬ta cadute… non aveva più forma umana e mi fa¬ceva pietà; e lui possedeva nel suo animo pace e tranquillità, fra i dolori; ancora diceva che la lebbra che Dio gli ha data la considerava una grazia, simile a quella della ordinazione sacerdo¬tale”. (suor Anna Felicita Rivolta, 15-6-24) “E là, nascosto al mondo… sotto lo sguardo di Dio e vicino al cuore di questi poveri lebbrosi, che il santo Religioso chiama così teneramente «suoi figli», padre Daniele sta morendo… muo¬re sorridendo, consolando gli altri”. (padre Giulio Maria da Lombaerde, 1924) Padre Maurizio, colpito da una forma di tumore (me¬sotelioma), morì tra i dolori più lancinanti rifiutando l’uso della morfina, per un’accettazione cosciente del suo patire da unire a quello redentore di Cristo, “per la Chiesa, per le vocazioni, per la Pace”. Aveva accolto la diagnosi del suo male come un dono per il 25° di ordinazione sacerdotale! Proponiamo brevi stralci dal suo diario, intitolato L’ostrica perlacea (prossimamente su questo sito…). La spiegazione del titolo, da lui scelto, rivela a quale alta vetta di amore, espressa con accenti poetici sublimi, lo abbia portato la sofferenza: non una sofferenza supinamente subita come una vio¬lenza, ma accolta “come dono di Dio” “Io oso dire che Tu sei per me come «l’ostrica perlacea», perché, se rimango in Te almeno nel pentimento, sai impreziosire tutto di me. Ap¬punto come l’ostrica, tua creatura, la quale, rag¬giunta entro i suoi gusci da un sassolino, un insetto, un granello di sabbia, o comunque da un corpo estraneo, si affretta ad avvolgerlo con la sua bava fino a farne il nucleo di una perla preziosissima. Come è vero che Tu sei la mia preziosità! Gioisco immensamente, Signore, di esser l’anima nera della Tua svelata grandezza. O Dio, mia ostrica perlacea, mio avvolgente amore, mio unico valore, mia opalescente bel¬lezza… Tu che hai dato all’ostrica un riflesso del Tuo delicato amore, finisci la Tua opera in me! Rendi smaltata di Te la mia vita… nascondimi nel cuore della Tua bellezza… e da’ un prezzo al mio nulla, Tu che sei stato svenduto per me (pp. 40-41) “Ed eccolo [il mesotelioma], preciso segno del¬l’Amore che mi vuole partecipe, in qualche mo¬do, della sofferenza di Gesù. Assomigliare a Te, Gesù, è sempre stato il mio desiderio, e non solo per quello che mi hai da¬to, ma anche per quello che continui a prende¬re da me e che volontieri Ti dono”. (p. 79) “Quando sento insistente il grido dell’umanità [di notte],le sue lacrime, il tormento delle sue pene, il suo pianto in una struggente nostalgia di bene, io mi alzo e con affetto mi piego sulla umanità sofferente, cullandola nella preghiera e attendendo che in Dio ritrovi la sua pace (p. 341) “Uno degli aspetti che più mi ha meravigliato è come il dolore sia un fuoco divorante e trasformante. Quando ti aggredisce, se ne vanno le solite pas¬sioni dell’uomo… si annullano i progetti, tutto viene ridotto all’essenziale”. (pp. 189-190) “Prego Gesù che, quando avrò finito di stende¬re le braccia sulla croce, possa gettargliele al collo, una volta per sempre, per i secoli eterni”. “Soffriamo insieme, Gesù mio, ancora questi attimi di attesa! [è l’ultimo diario, a meno di un mese dalla morte, avvenuta il 14-12-97]”. (16-11-97, p. 547) “Il comune penare non è già il primo atto di co¬munione piena? Come mi piacerebbe contem¬plarti direttamente al di là del velo della vita terrena, per misurare con cura i battiti del Tuo Cuore, i fremiti di tutto il Tuo essere, la tensio¬ne composta e appena trattenuta del Tuo amo¬re, la fibrillazione dei Tuoi sentimenti! Li vorrei conoscere per annunziare ai miei fra¬telli Chi sei realmente e quale potente eco han¬no in Te le nostre condizioni terrene”. (p. 547)
II
IL MAGNIFICAT DI ALEXANDRINA
In mezzo ai miei grandi dolori e tribolazioni, la pregbiera cbe più mi sorride è il «Magnificat» Alexandrina L (16-3-36)
Padre Mariano Pinho, primo direttore spirituale di Alexandrina, nella sua biografia intitolata Nel Calva¬rio di Balasar, dopo aver detto che in quest’epoca è ur¬gente la necessità che qualcuno, con una buona dot¬trina ma soprattutto con l’esempio, insegni come è il vivere di un’anima-vittima, afferma: “Abbiamo qui, a nostro avviso, un modello di prima grandezza: Alexan¬drina!”. Allora sentiamo lei, scegliendo dai suoi scritti alcune tra le innumerevoli frasi tanto significative in questo senso: amare ogni croce e ringraziare.
“Tutti i giorni, dopo la S. Comunione, prego il Magnifrcat per ringraziare dei dolori e delle gio¬ie di ogni giorno, ancora prima che arrivino”. S (25-1-46) “Ebbi gioie che subito morirono e spine che sempre rimasero a ferirmi. Tutto ricevetti come doni di Gesù. Tutto Gli offersi ringraziandolo di cuore: «Molte grazie, mio Gesù: le umiliazioni mi fan¬no bene all’anima»”. S (1-8-47) “Vennero ancora spine molto acute a ferirmi. Benedissi per tutto il Signore e, come corona¬mento, pregai il Magnificat!”. S (30-3-45) “Siate benedetto, mio Gesù, il mio eterno «gra¬zie!» sempre, notte e giorno. Grazie, grazie, Gesù, nella consolazione e nel dolore, nella vita e nella morte”. S (3-4-53) “Grazie, grazie, mio Gesù, per tutto il dolore e per tutto l’amore che mi date”. S (13-11-53) Ma come può nascere tanto ringraziamento nel dolore?! Certo che è difficile! Padre Gasparino ammette: “Chi riesce a ringraziare sotto la croce arriva al punto di sperimentare la vetta più alta della sa¬pienza umana”. Forse due sono le fonti a cui bisogna attingere per cercare di arrivare in cima:
L’AMORE A GESÙ. L’anima che ama profondamente, totalmente, anela a fondersi col suo amato, a identi¬ficarsi con lui, quindi a rendersi sempre più simile a lui, in perfetta consonanza di pensieri, di affetti, di azione. Questo possiamo sperimentare nel campo del¬l’amore umano, nell’amore coniugale, qualunque sia il credo religioso degli sposi. L’anima cristiana sente Dio-Trinità come sommo Be¬ne, quindi come primo oggetto del suo amore. Allo¬ra si prostra in adorazione (ricordiamo la famosa “Elevazione” della Beata Elisabetta della Trinità). E, mentre compie il suo cammino sulla Terra, finché vi¬ve nella carne, ha come guida il divino Modello, il Verbo incarnato, Gesù. Ecco che si sforza di unifor¬marsi a tutte le Sue aspirazioni, di agire in ogni circo¬stanza come agirebbe Lui, di rendersi sempre più simile a Lui. Vuole diventare come un piccolo prolun¬gamento della Sua umanità”, un “membro vivo” del Suo Corpo mistico. Chi ambisce ad un fine deve sottostare ai mezzi neces¬sari per arrivarci. Il Padre ha scelto per Gesù il Sacri¬ficio. L’anima che ama totalmente il suo Amato Lo de¬ve amare come Salvatore, ma anche come Crocifisso, quindi offrirsi – liberamente come fece Gesù – per la croce che le viene consegnata. L’anima che arriva a fare questa offerta – non solo ac¬cettazione – dimostra di amare Gesù in sommo grado, perché in sommo grado ha raggiunto l’unione con Lui. Perciò ringrazia.
SALVARE ANIME. Se uno contempla la realtà con gli occhi di Dio, e misura il breve passaggio sulla terra con l’eternità, e confronta le sue brevissime pene – per quanto grandi – con le pene eterne, e ama non solo se stesso ma anche i fratelli, è spinto a sopportare qua¬lunque tribolazione, pur di salvare delle anime. Come quella mamma che si butta nel fuoco per salvare il fi¬glio. E gioisce nel compiere questa sua opera, ringra¬zia per la possibilità di compierla. Certo: il cristiano deve essere convinto del valore sal¬vifico della sua tribolazione offerta con questo scopo. Le anime-vittime hanno in sé questa convinzione, pro¬fondamente, fortemente radicata. E Gesù le aiuta. Sentiamo questo breve colloquio: “«Vengo a te per confortarti per le sofferenze che ti aspettano [verrà privata anche del 20 di¬rettore] e per ringraziarti della riparazione che mi hai data, per le anime che mi hai salvato e per l’eroicità in tutto il tuo soffrire. Figlia mia, figlia mia, grande eroina, il tuo do¬lore nascosto, il tuo aprirti più con me che con nessun altro, sono stati inni ed incensi, onori, lodi e amore che mi hai dato. Grazie, grazie, fi¬glia mia!». «Come potete Voi, in quanto Dio, ringraziare la più piccola e la più indegna delle vostre figlie? Attribuite tutto alla Vostra grandezza e nulla alla mia piccolezza». «Nulla potrei fare, figlia, mia amata, senza la tua fedeltà e generosità. Voglio ringraziarti»”. S (3-1-48) “Grazie, mio Gesù! Ho il Vostro sorriso impres¬so nel cuore. Fate che esso sia sempre il sorriso delle mie lab¬bra, la gioia nel mio dolore, la luce nelle mie te¬nebre, la forza nel mio calvario. Grazie, grazie, mio Gesù: siate sempre la mia forza!”. S (25-10-46) Solo meditando su queste considerazioni possiamo ca¬pire, oltre che ammirare, molte frasi di Alexandrina. “O mio Gesù, che grande prova d’amore mi date, nel farmi soffrire così! Quanto devo rin¬graziarvi, perché mi avete resa tanto simile a Voi!”. L (10-9-39) “Quanto devo a Gesù, per avermi associata alle Sue sofferenze e a quelle della Mamma, e per avermi fatta agonizzare con Lui!”. S (22-8-47) E Gesù le dice: “Ti scelsi per il dolore, figlia mia, ti scelsi per il dolore. E fu attraverso il dolore che ti elevai al più alto grado dell’amore”. S (30-3-51) “Voglio benedire Gesù nel tempo e nell’eterni¬tà, per avermi scelta per il dolore”. S (29-3-46) “Soffrire, e soffrire sempre! Amore con amor si paga: fu per amore a me che Gesù soffrì e morì; e solo per amore voglio soffrire e morire”. L (21-11-36) “Voglio forza per soffrire e amore per amare L (7-3-39) “Inventate, Gesù, inventate tutte le sofferenze per questo nulla che con Voi è tutto, affinché io Vi possa salvare anime, Vi faccia conosciuto ed amato da tutti. Vedete, mio Gesù, le mie aspirazioni: non vo¬glio che regni sulla Terra se non il Vostro amore in tutti i cuori. E per questo che voglio soffrire tutto e non avere altro vivere se non il dolore”. L (3-7-39) “Il soffrire non costa, perché l’amore vince tut¬to. Ma ha molto da vincere!”. L (18-12-39) “Per sopportare il dolore, bisogna spremersi in amore. S (26-8-55) Lo slancio d’amore di Alexandrina arriva proprio fino alla follia della croce, come dimostrano le frasi che se¬guono: “Vedo nella croce amore e dolore, amore e do¬lore senza fine. E questo amore, è questo dolo¬re che io voglio: è questa croce che ho abbrac¬ciata per il mio Gesù e per le anime”. L (28-8-47) “Il dolore purifica, il dolore eleva l’anima a Dio. Benedetto il dolore che dà amore!”. L (3-1-40) “Voglio gridare forte al mondo: è con tutta la gioia che io abbraccio tutto que¬sto martirio di dolore, perché sento che non vi è nulla di meglio del dolore per unirci a Gesù”. L (10-4-40) “Ho il mio corpo pieno di legacci [è legata a dure assi, perché le ossa si sconnettono], sento tutte le ossa sconnettersi. Ma è questa e soltanto questa la mia gioia: soffrire per Gesù. Non mi importa che, ancora in vita, tutto il mio corpo si dissolva in putredine, se alla Sua divina volontà piacerà così. Ciò che io voglio è a¬marlo, Lui solo, solo Lui. Non voglio perdere un solo momento di sofferenza: voglio che essa sia usata in favore delle anime, delle mie anime, che costarono il preziosissimo sangue del mio amato Gesù”. L (13-9-48) “O dolore, dolore mio amato, io non posso se¬pararmi da te! Ti voglio indicibilmente bene, perché solo tu mi elevi al mio Signore”. S (17-7-53) “Amo la sofferenza: è la mia maggior ricchez¬za sulla Terra. Il dolore mi dà Gesù: Gesù mi dà amore”. L (30-7-40) “O soffrire, o il Cielo. Che valore può avere la vita, se non soffro, se non amo?”. S (31-5-45) “O mia croce, mia amata croce, quanto ti vo¬glio! Cosa vedo io mai nella mia croce? Vedo amore, ma un amore senza limiti, un amore senza l’uguale; e vedo dolore, ma un dolore che racchiude tutti i dolori: è un insieme di dolori. Io ho abbracciata la mia croce amata: e questo è un abbraccio eterno… Amore, dolore, croce è una cosa mia: la voglio per Gesù e per le anime”. S (15-8-47) “In Cielo canterò le tue lodi eternamente, o Mamma celeste; sulla Terra voglio solo soffrire e amare. Tutto passa, tutto muore. Solo la grazia di Gesù ci fa vivere eternamen¬te”. (sul retro di un’immaginetta) Sta bene inserita qui una bella “perla” di San padre Pio: “Niente desidero se non amare e soffrire. Padre mio, anche in mezzo a tante sofferenze, sono fe¬lice perché sembrami di sentire il cuore palpitare con quello di Gesù”. “Il Cuore divino di Gesù non cessava, in me, di amare: era nel mio cuore che Egli amava l’uma¬nità intera. Non potevo cessare di amare la croce: vedevo e sentivo che solo essa era la vita”. S (11-1-52) O soffrire, o morire, mio Gesù… Povera me, povera me, mio Gesù, se mi toglie¬ste il dolore! Io non saprei vivere senza soffrire: la vita sen¬za dolore sarebbe per me insopportabile. Non vi è nulla che si possa paragonare alla dol¬cezza della croce, quando la accettiamo e la portiamo per amore. E per Voi, Gesù, è per le anime che io soffro e che voglio e che accetto quanto Voi volete e mi date”. S (9-1-53) “Amo il mio calvario con tutte le sofferenze. Mi pare che, se cessassi di soffrire, cesserei di ama¬re: più sono spremuta, più divento folle d’amo¬re per Voi, mio Gesù”. S (21-2-47) Gesù le dice: “Tu hai aumentato in te l’amore al mio Cuore divino, a misura che in te è aumentato il dolo¬re”. S (3-10-47) “… vivrai nel dolore e nell’amore; e nel dolore e nell’amore morirai. Avrai l’amore in propor¬zione del dolore”. S (7-3-47) “Nulla vi è che mi consoli e mi dia sollievo co¬me il dolore rassegnato, il dolore sofferto con gioia perché è accompagnato dall’amore. Il dolore, con l’amore, continua ad essere la sal¬vezza delle anime”. S (23-7-48) “Va’, tortorella dei tabernacoli, tortorella delle prigioni divine: canta con gioia il tuo inno di dolore che sale al Cielo come inno del più gran¬de amore”. S (10-5-46) Concludiamo con Alexandrina: “Vieni, o dolore benedetto! Vieni, o peso annichilatore, a ridurmi al nulla e a strapparmi la vita! La mia morte farà risuscitare le anime per Ge¬sù”. L (2-4-40)
III
IMPAREREMO ANCHE NOI A CANTARE SEMPRE IL MAGNIFICAT?
Gesù, aumenta il nostro amore e, con la Tua grazia, riusciremo!
Ogni anima cristiana deve tendere alla perfezione: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei Cieli” (Mt 5,48), esorta Gesù. Ma non ogni anima cristiana deve diventare anima-vittima! Abbiamo visto che Gesù “sceglie” solo alcune anime cui affidare tale missione, poiché il bene spirituale di ogni singolo membro è anche il bene di tutti – e così il male -, a causa della “Comunione dei santi” (ossia la comunicazione dei beni), delle anime non scelte per questo ha una sua diversa missione, che le viene comunque affidata, e diventa santa sforzandosi di compiere in ogni momen¬to il suo dovere con la massima cura, con il massimo amore, non sprecando neppure un minuto del tempo che le è concesso di trascorrere sulla Terra. Essa do¬vrà “tirare avanti”, sempre avanti, con la massima fi¬ducia nel Suo Creatore. Infatti un cristiano crede – e deve tenere salda questa fede nei momenti difficili, più dolorosi – che tutto quanto accade è o voluto o permesso da Dio, un Dio che è amore e quindi non può volere che un bene, anche se qualche evento è umanamente inconcepibile come bene. Meditiamo sulla fede della Madre Corredentrice pres¬so la Croce! Nei momenti delle contrarietà, delle prove, l’anima cristiana deve assumere un atteggiamento che non è ribellione né prostrazione, ma umile supplica, richie¬sta di aiuto, talora insistente; deve affidarsi al Padre con la certezza di essere da Lui amata, quindi con la fiducia di essere esaudita, nella forma che sarà per il miglior bene, e magari diversa dalla sua aspettativa. Ma è sempre per un fine più alto, che l’orante neppure immagina: lo comprenderà dopo, forse dopo lunghi anni, o forse neppure in questa vita. Alexandrina invocava di guarire per diventare missio¬naria; è stata esaudita nel diventare missionaria in modo cento volte più potente, ma non con la guari¬gione. Gesù, nostro divino Modello, durante le angosce del¬l’agonia nell’Orto degli ulivi, ha pregato, ha invocato, “offrì preghiere e suppliche accompagnate da forti grida e lacrime a Dio Padre… ed è stato esaudito per la Sua pietà” (Eb 5,7). Esaudito! Con la morte in croce. Ma ha ottenuto quello che voleva: la Redenzione. La grazia richiesta può non esser concessa, se il con¬cederla porta ad un danno per l’anima. Gesù dice a Santa Gemma Galgani: “Quanti mi avrebbero abbandonato, se non li avessi crocifissi!” Abbiamo detto che Cristo risorto continua lungo i se¬coli ad operare e a soffrire nei suoi membri. Un cristiano che soffre non deve quindi sentirsi isolato e inutile nella sua sofferenza. Infatti, sempre nella Salvifici doloris si legge: “Operando la Redenzione mediante la soffe¬renza, Cristo ha elevato insieme la sofferenza umana a livello di Redenzione. Quindi anche ogni uomo, ogni donna, nella sua sofferenza, può diventare partecipe della sofferenza reden¬tiva di Cristo”. (p. 28) “L’uomo, scoprendo mediante la fede la soffe¬renza redentrice di Cristo, insieme scopre in essa le proprie sofferenze, le ritrova, mediante la fede, arricchite di un nuovo contenuto e di un nuovo significato”. (p. 29) Quindi, ogni cristiano – credente – può cooperare con la sua sofferenza al proseguimento della Reden¬zione, come fece Maria, la più grande cooperatrice per la salvezza dell’umanità. Può, nel suo piccolo, es¬sere coinvolto in questa grande opera, “con la convm¬zione di essere oggetto di un piano amoroso del Si¬gnore, che tutto dispone per il nostro bene”. Può, ma bisogna che riesca ad accettare e ad offrire con amore le sue tribolazioni, unendole, per questo scopo, ai patimenti di Gesù. L’amore redime e trasforma la sofferenza. E da qui na¬sce la vera gioia, anche in ogni anima, senza che sia proprio un’anima-vittima. “La gioia è dolore superato e trasformato”. Cerchiamo anche noi di imparare a reagire sempre al dolore, in modo da riuscire a trasformarlo in gioia. Ma ci vuole del tempo perché un’anima tribolata ar¬rivi a questo livello spirituale… Innanzitutto quest’anima deve trovare aiuto nella pre¬ghiera, in una vera preghiera, ben fatta, profonda, vi¬brante di amore filiale: “A Dio tutto è possibile, anche compiere il su¬peramento dell’uomo” (…). Alexandrina stessa, già scelta per diventare anima-vit¬tima, ha impiegato tanti anni per arrivare a capire il valore della sua sofferenza, e a trasformarla: quante preghiere, novene, offerte da parte sua e dei suoi cari, per ottenere la guarigione! Ed è riuscita a sublimare tutto il suo patire con l’amo¬re a Gesù e alle anime da salvare. Quale sublime vetta ha raggiunto! Ma, convinta che tutto il suo amore-dolore da solo non bastava, così si è rivolta a Gesù: “Gesù, rivestite le mie povere sofferenze e tutto quanto possa servirvi di riparazione, con le Vo¬stre infinite sofferenze”. S (1-11-46) “Io Vi offro il mio dolore, il mio povero dolo¬re che per se stesso non vale nulla; è sempre ai dolori della Mamma che lo unisco e tramite le Sue mani santissime che Ve lo offro. Unite tutto ai meriti della Vostra santa Passio¬ne e consegnate questo valore infinito al Vostro Eterno Padre. Chiedetegli Voi che perdoni il mondo, che non lo castighi ora: che aspetti la sua conversione. S (16-12-49) Gesù allora le dice: “Tu senti che le tue sofferenze e tutto il tuo vi¬vere non valgono nulla. Ma in Me, unite ai meriti della mia santa Pas¬sione, valgono proprio tutto. Confida: nulla della tua vita va perduto, anche delle cose più piccole”. S (1-7-49) E il salmista canta: “Le mie lacrime nell’otre Tuo raccogli”. (SI 55,9)
CONCLUSIONE
Dopo questa breve meditazione sul dolore umano, una fredda logica potrebbe arrivare a concludere: al¬lora non devo invocare di essere liberato da questa tri¬bolazione che mi attanaglia, non devo chiedere la gra¬zia che cessi questo dolore, ma solo la grazia di aiutar¬mi a cambiare il mio modo di viverlo, per offrirlo co¬me mezzo di redenzione… Eh, no! Questo ragionamento può essere fatto solo da chi non conosce il dolore e non conosce la nostra na¬tura umana. Dobbiamo iniziare a chiedere secondo il nostro desi¬derio, rivolti a Dio come ad un padre che ci ama, che ci ascolta; e chiedere anche con insistenza, soprattutto se sappiamo che la nostra richesta non è contraria al bene delle anime. Pensiamo ai tanti esempi che trovia¬mo nel Vangelo: tutte le richieste cli guarigione fisica accolte col miracolo operato da Gesù! Solo se, dopo l’insistenza nell’invocare, comprendia¬mo che la volontà di Dio non è secondo quel nostro desiderio, solo allora: “Padre, non sia fatta la mia, ma la Tua volontà” (Lc 22,42). Questo disse il nostro divino Modello durante l’ago¬nia nell’Orto degli ulivi. Allora, caro amico lettore che ti dibatti nell’angoscia del tuo dolore, fa’ uno sforzo, con l’aiuto della pre¬ghiera: esci da te stesso, dal tuo ristretto mondo e contempla il dolore universale dell’intera umanità; as¬sociati a tutti coloro che sono riusciti ad unire i loro patimenti a quelli di Cristo, entra anche tu nel fiume che continua la Redenzione! Armati di pazienza, perché è difficile quel “tuffo” e ci vuole del tempo per prepararlo; ma insisti e ci riusci¬rai. Tieni presente che Gesù aiuta. (…)
Maria, nostro aiuto, preghi per te!
Preghiera
per la glorificazione della Serva di Dio Alexandrina Maria da Costa.
O Trinità Santissima, Ti adoro e Ti ringrazio perché ci hai donato l’esempio di Alexandrina, scintilla purissima del tuo amore. Ti prego di aiutarmi ad imitarla: che io mi consumi in un anelito sempre più ardente a dedicarmi a Te e ai fratelli. Ti chiedo umilmente di glorificarla con la Beatificazione e di concerdermi, per la sua intercessione, la grazia che ardentemente ti chiedo.
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.