Dispositivo della Cassazione: il Crocifisso è ammesso nei luoghi pubblici
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Il Simbolo della cristianità secondo la Suprema Corte è l’unico che può essere ammesso nei luoghi pubblici e non danneggia né la libertà religiosa né la laicità.
L’esposizione del crocifisso nelle aule dei tribunali, e negli uffici pubblici, non può essere avvertita come un pericolo per la libertà religiosa. Lo ha stabilito la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza con la quale ha confermato la rimozione dalla Magistratura del giudice di Camerino Luigi Tosti, che si rifiutava di tenere udienze in aule nelle quali era presente appunto il crocifisso o in alternativa alla rimozione, chiedeva di poter esporre anche la Menorah, simbolo della fede ebraica.
L’esposizione del crocifisso nelle aule dei tribunali, e negli uffici pubblici, non può essere avvertita come un pericolo per la libertà religiosa. Lo ha stabilito la Cassazione, nelle motivazioni della sentenza con la quale ha confermato la rimozione dalla Magistratura del giudice di Camerino Luigi Tosti, che si rifiutava di tenere udienze in aule nelle quali era presente appunto il crocifisso o in alternativa alla rimozione, chiedeva di poter esporre anche la Menorah, simbolo della fede ebraica.
Il dispositivo deciso dalla Suprema corte è però più articolato. Per i giudici infatti per esporre negli uffici pubblici, tra i quali rientrano le aule di giustizia, nuovi simboli religiosi diversi dal crocifisso «è necessaria una scelta discrezionale del legislatore, che allo stato non sussiste». Non solo, dopo aver respinto la pretesa di Tosti per quanto riguarda la richiesta di esporre il simbolo ebraico accanto al crocifisso, la Cassazione rileva che una simile scelta potrebbe anche essere fatta dal legislatore, valutando però anche il rischio di “possibili conflitti” che potrebbero nascere dall’esposizione di simboli di identità religiose diverse.
In pratica, il crocifisso è l’unico simbolo religioso ammesso all’interno degli spazi pubblici. «È vero che sul piano teorico il principio di laicità – scrive ancora la Cassazione – è compatibile sia con un modello di equiparazione verso l’alto (laicità per addizione) che consenta ad ogni soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso (laicità per sottrazione)».
Tale scelta legislativa, però, presuppone, spiega ancorala Cassazione, «che siano valutati una pluralità di profili, primi tra tutti la praticabilità concreta e il bilanciamento tra l’esercizio della libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con l’analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte dell’ateo o del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra loro incompatibili».
«Quindi la presenza di un crocifisso -ribadiscono definitivamente i giudici della Suprema corte – non può costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un’aula di giustizia per i più svariati motivi e non solo necessariamente per essere tali utenti dei cristiani». Con la conseguenza che il giudice Tosti non poteva «rifiutare la propria prestazione professionale solo perché in altre aule di giustizia (rispetto a quella in cui egli operava) era presente il crocifisso».
Secondo Tosti, invece, la presenza del simbolo della cristianità violava i diritti di libertà religiosa e di coscienza degli utenti di quelle aule. A Tosti, tuttavia, era stata messa a disposizione un’aula senza alcun simbolo ma lui, aveva ugualmente rifiutato di tenere udienza, chiedendo la rimozione della croce da tutti i tribunali italiani e aprendo così il contenzioso giuridico, che ieri appunto la Cassazione ha risolto.
Davide Re
Avvenire
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