Testimoni di Geova – Lezione 85
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A Pietro le chiavi del Regno
Con due immagini bibliche, quella delle chiavi e quella del legare e sciogliere, Gesù ha reso più chiare il suo pensiero, vale a dire ha fatto capire bene che cosa egli intendeva affidare a Pietro, costituendolo roccia o pietra della sua Chiesa. Sempre rivolto a Pietro Gesù continua dicendo:
“A te darò le chiavi del Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Matteo 16, 19).
Spiegazione:
I. – La prima immagine – quella della chiave o delle chiavi – era stata usata dal profeta Isaia. Parlando a nome di Jahve, il profeta aveva detto:
“Metterò il tuo (di Sebna) potere nelle sue (di Eliakim) mani (…). Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire” (Isaia 22, 21-22).
Sebna era stato un ministro infedele del re Ezechia. Fu rimosso dal suo ufficio e il potere fu dato ad Eliakim: sulla sua spalla fu posta la chiave della casa reale (di David). In stile biblica dare la chiave equivale a costituire qualcuno in autorità. Usare la chiave per aprire e chiudere significa esercitare il potere legislativo ed esecutivo.
Nel Regno di Dio chi tiene la chiave è il Signore Gesù, “quando egli apre nessuno chiude, e quando chiude nessuno apre” (Apocalisse 2, 7). Qui si parla d’una sola chiave come in Isaia 22, 22. Altro- ve, nell’Apocalisse, lo stesso Gesù dice: “E ho le chiavi della morte e dell’ade (Apocalisse 1, 18). Qui si parla di più chiavi, ma il significato non cambia: “Ho il potere sopra la morte e sopra gli ìnferi”.
E’ dunque fuor di dubbio che con l’immagine biblica delle chiavi Gesù ha voluto conferire a Pietro una specifica autorità nella Sua Chiesa, vale a dire il ministero autorevole d’interpretare la Parola di Dio e curare che sia accolta e vissuta dai veri discepoli del Signore. L’esercizio di questo ministero si ha sulla terra, ma le conseguenze si hanno anche in cielo. Questo significa che i giudizi di Pietro sono ratificati da Dio.
2. – La seconda immagine – quella del legare e sciogliere – conferma ed esplicita il contenuto dell’immagine o simbolo delle chiavi. Nel linguaggio corrente al tempo di Gesù, specie in quello degli scribi e dottori della Legge, legare aveva il significato di condannare con autorità, oppure proibire o dichiarare vietata una cosa, un’azione, un comportamento. Al contrario, sciogliere voleva dire permettere o assolvere o dichiarare lecita una cosa.
Pietro dunque, costituito maggiordomo nella Chiesa di Dio, ha il potere sulla terra di dichiarare con autorità ciò che è contrario e quindi esclude dal Regno di Dio; e ciò che ad esso è conforme e rende lecito l’accesso. In altre parole, a Pietro qui sulla terra spetta il giudizio determinante in materia di fede e di morale sempre in rapporto al Regno di Dio. E’ chiaro che egli può fare tutto questo in nome di Cristo, vale a dire ha la funzione di interpretare autorevolmente ciò che Cristo ha insegnato, senza che nulla sia detratto o aggiunto al deposito della fede. La fede di Pietro è, norma sicura di fede per tutti i veri discepoli di Cristo.
Una spiegazione sbagliata
Anche la metafora delle chiavi è spiegata dai geovisti in modo arbitrario e confuso col solo fine di oscurare l’insegnamento del Vangelo. Il loro errore o piuttosto il cumulo dei loro errori è espresso nel modo seguente:
“Le chiavi – essi dicono – sono simbolo della conoscenza come leggiamo in Luca 11,52. Pietro usò la prima chiave il giorno di Pentecoste del 33 E.V. per aprire agli Ebrei l’opportunità di entrare nel regno celeste. Usò poi la seconda chiave tre anni dopo, nel 36 E.V., a favore dei non-giudei incirconcisi Gentili. Non c’era più nessun bisogno che Pietro usasse ulteriormente le chiavi del regno dei Cieli”.
Nel 1980, vale a dire quindici anni dopo aver scritto e stampato il pezzo sopra citato, il Corpo Direttivo di Brooklyn, N. Y. cambiò parere: le chiavi consegnate a Pietro sarebbero tre, non più due! Pietro avrebbe adoperato la terza chiave in occasione del suo sopralluogo nella regione dei samaritani, un po’ a nord di Gerusalemme .
La spiegazione esatta
a) In san Luca 11, 52, che i geovisti citano, Gesù, in disputa coi dottori della Legge , disse:
“Guai a voi, dottori della Legge, che avete tolto la chiave della scienza”.
Per l’esatta conoscenza del pensiero di Gesù bisogna ricordare che i dottori della Legge presso gli Ebrei si consideravano ed erano considerati come gli autorevoli interpreti della Legge, ossia della Bibbia. Togliere la chiave della scienza equivale a interpretare male la Scrittura. Al contrario avere la chiave della scienza vuol dire essere interpreti autorevoli della Scrittura.
Gesù rimprovera ai dottori della Legge di interpretare male la Scrittura con l’aggravante che, pretendendo di essere i soli a saperla interpretare, impedivano a se stessi e agli altri di conoscere ed accettare il messaggio di salvezza annunziato da Cristo.
b) Alla luce di questo chiaro insegnamento biblico appare evidente il simbolismo della chiave o delle chiavi. Consegnando a Pietro le chiavi del Regno dei cieli, Gesù intendeva costituirlo interprete autorevole delle Scritture. Pietro ha avuto da Cristo la chiave della scienza, ossia della vera conoscenza del pensiero e della volontà di Cristo per insegnarla autorevolmente. Appare pure evidente come questa funzione di Pietro, vale a dire l’uso delle chiavi, non può essere limitato a due o tre casi. La pretesa dei dottori della legge non si limitava ad alcuni casi: essi interpretavano autorevolmente la legge sempre e dovunque ci fosse bisogno. Così la funzione di Pietro non può essere limitata a due o tre circostanze, come fanno erroneamente i geovisti. Egli è stato costituito da Cristo per dare autorevolmente la retta conoscenza della legge di Dio sempre e dovunque finché vi saranno sulla terra creature umane bisognose e desiderose di essere illuminate con la conoscenza della verità che ci salva (cf . 1 Timoteo 2, 4; Luca 22, 32))
c) E’ perciò errato e contro il chiaro insegnamento della Scrittura far consistere il simbolismo nel numero delle chiavi, e non piuttosto nell’uso che della chiave o delle chiavi vien fatto. L’uso è quello di aprire o chiudere, vale a dire dare la conoscenza della legge in ciò che essa dichiara buono e giusto (aprire) e in ciò che essa dichiara ingiusto e illecito (chiudere). Si può aprire o chiudere con una sola chiave o con più chiavi! Si deve aprire o chiudere sempre che le circostanze lo esigono. In effetti si ha lo stesso simbolismo sia in Isaia 22, 22; Luca 11, 52; Apocalisse 3, 7, dove si parla d’una sola chiave, sia in Matteo 16, 18, dove si parla di più chiavi .
d) Deve perciò dirsi artificiosa e faziosa la spiegazione dei tdG, che limitano l’uso a tre sole circostanze nella vita di Pietro, insistendo unicamente sul numero delle chiavi e non sul loro simbolismo, come insegna chiaramente la Bibbia.
Nelle tre circostanze, di cui parlano i geovisti, Pietro ha dichiarato autorevolmente sia ai Giudei che ai non-Giudei non già che la porta del Vangelo era aperta anche per loro, ma piuttosto ha spiegato autorevolmente sia agli uni che agli altri che cosa dovevano credere (= aprire) e che cosa dovevano rifiutare (= chiudere) per entrare nel Regno di Dio (cf. Atti 2, 37-41; 15, 7-12) . La Bibbia non dice che Pietro ha fatto uso d’una sola chiave, ma fa chiaramente capire che ha esercitato la funzione, che la chiave o le chiavi nel loro simbolismo significano.
Anche in seguito san Pietro continuò a usare le simboliche chiavi, annunciando con autorità il Vangelo sia ai Giudei (cf. Galati 1, 18) sia ai non-Giudei (cf. 1 Corinzi 1, 12; 9, 5) a viva voce e anche per iscritto (cf. Prima e Seconda Lettera di Pietro) dando precise istruzioni su ciò che i cristiani devono credere e su ciò che devono rifiutare.
Il conferimento del Primato
Nell’ultimo capitolo del quarto vangelo abbiamo il racconto particolareggiato di come avvenne l’effettivo conferimento del Primato a san Pietro, dopo la promessa di cui in Matteo 16, 16-18. Racconta san Giovanni:
“Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti. Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene più di costoro?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Gli rispose: “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per la terza volta: “Simone di Giovanni, mi vuoi bene?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: Mi vuoi bene? e gli disse: “Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene”. Gli rispose: “Pasci le mie pecorelle”” (Giovanni 21, 14-17).
Spiegazione:
a) Per far capire bene il suo pensiero Gesù sì serve della metafora del pastore e delle pecore, che esprime simbolicamente l’autorità esercitata sugli uomini mediante un governo capace non solo di dare ai sudditi i mezzi necessari alla vita, ma anche di difenderli contro i nemici. E’ la parabola del buon pastore (Cf. Giovanni 10, 1-6).
b) Anche questa metafora è assai comune nella Bibbia. In Isaia Jahve è descritto “simile a un pa- store che conduce al pascolo il suo gregge, raccoglie nelle sue braccia gli agnelli ( … ), conduce al riposo le pecore madri” (40, 11; Cf. Ezechiele 34, 10-14). Jahve ha pure voluto affidare le sue pecore ad alcuni suoi servi le guida per mano di Mosè (Cf. Salmo 77, 21), e dopo di lui designa Giosuè come capo (Cf. Numeri 27, 15-20).
c) A imitazione del Padre anche l’Unigenito Figlio si presenta come il Buon Pastore che dà la vita per le sue pecore (Cf. Giovanni 10, 11-15); e come il Padre, dispone che il suo gregge abbia una guida in uomini fidati, pieni di amore per lui.
A tale compito sceglie Pietro, malgrado la sua negazione, seguita da un sincero pentimento (cf. Marco 14, 72). Gesù lo ha riabilitato apparendo a lui singolarmente dopo la sua risurrezione (cf. 1 Corinzi 15, 5; Luca 24, 34) e anche assieme agli altri (cf. Giovanni 20, 19-23; Luca 24, 36-53). Ciò che racconta san Giovanni (21, 15-17) non è altro che la conferma e il compimento della promessa fatta a Pietro in Matteo 16, 16-18.
d) Anche altri discepoli di Cristo hanno l’incarico di vigilare sulle singole comunità (cf. Atti 20, 28) come pastori, presbiteri ed episcopi (cf. Efesini 4, 11; 1 Pietro 5, 1 ss.). Ma Simone, il figlio di Giovanni, che ha avuto dal Maestro il nuovo nome di Pietro (= la roccia), ha il compito di vigilare su tutto il gregge di Cristo, sugli agnelli e sulle pecore Egli è il maggiordomo della Casa del Signore, il vicario di Cristo. La missione di Pietro è universale.
Sotto la sua guida il gregge di Cristo sarà condotto a buoni pascoli. Fuor di metafora, questo vuol dire che Pietro assicurerà la sana dottrina in tutta la Chiesa. Arroccata su questa pietra la comunità di Cristo non sarà mai sopraffatta dall’errore e dalle potenze del male (cf. Matteo 16, 18).
Padre Nicola Tornese s.j.
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