I Testimoni di Geova – Lezione 128
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CHE COSA E’ L’INFERNO?
Al di là delle immagini
Precisiamo, prima di tutto, che qui alla parola “inferno” diamo il significato di Geenna, usiamo cioè il termine “inferno” nel senso in cui comunemente s’intende, che è quello di “stato o condizione dei ribelli a Dio”.
a) Oltre dunque che con immagini (fuoco, zolfo, stagno di fuoco ecc.), la grande verità del destino definitivo dell’uomo indurito nel rifiuto di Dio ci viene inculcata nella Bibbia con espressioni più concrete, che aprono uno spiraglio per farsi un’idea di che cosa sia la Geenna, cioè l’inferno propriamente detto.
In san Luca leggiamo queste terribili parole di Gesù:
“Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel Regno di Dio e voi cacciati fuori” (13, 27-28). In Matteo 25, 34 Gesù dirà ai salvati: “Venite (…, ricevete in eredità il Regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”; ma ai malvagi: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno” (25, 41).
Fondamentalmente, dunque, e svestita dalle immagini, la condizione del peccatore indurito consiste nell’essere cacciato fuori del Regno, escluso dalla comunità del Re e dei salvati, ossia dei buoni.
San Paolo segue questa pista e afferma ripetutamente che coloro i quali non ubbidiscono al Vangelo non erediteranno il Regno di Dio (Cf. 1 Corinzi 6, 4-10; Galati 5, 19-21). Nella Lettera ai Filippesi 3, 19-20 assicura ai buoni “la patria nel cieli assieme a Cristo”, ma per i nemici della Croce di Cristo “la perdizione sarà la loro fine”. I peccatori saranno castigati con una rovina (non distruzione) eterna, lontano “dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza” (2 Tessalonicesi 1, 9).
Alla luce di queste e simili espressioni possiamo dire che, secondo la Bibbia, la Geenna è un modo di essere, un’esistenza radicalmente opposta al modo di essere, alla esistenza nel Regno di Dio. E’ una esclusione, una lontananza dalla gloria del Signore Gesù e dalla compagnia dei giusti.
b) E che cosa sarà il Regno di Cristo e di Dio? (Cf. Efesini 5, 5).
Un barlume di questa futura realtà gioiosa ci è dato ancora dall’Apostolo là dove scrive: “Il Regno di Dio non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Romani 14, 17). Altrove san Paolo descrive le qualità del Regno con le parole: amore, pace, gioia, pazienza, benevolenza ecc., in forte contrasto con le opere della carne che sono: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizia, discordia (… ). Chi le compie non erediterà il Regno di Dio” (Galati 5, 19-22).
Si tratta di un barlume della futura realtà umana perché le parole dell’Apostolo si riferiscono direttamente alla vita dell’uomo ancora su questa terra, rinnovato o meno dallo Spirito, dentro cioè o fuori della comunità ecclesiale. Tuttavia la Chiesa “costituisce in terra il germe e l’inizio” del Regno nella sua pienezza. Tra la vita nel Regno su questa terra e quella piena dopo la restaurazione finale non vi è frattura o salto di qualità, ma rapporto di continuità come tra germe e frutto, tra inizio e compimento, tra imperfetto e perfetto (Cf. 1 Corinzi 13, 10).
Anche di questa pienezza del Regno la Bibbia scopre in qualche modo il velo, ma lo fa con immagini, di cui le più comuni sono quelle del banchetto e della luce (Cf. Luca 13, 29; 14, 14; Apocalisse 19, 9; Isaia 25, 6-9). Il Regno di Dio, nella sua futura realizzazione, sarà una gioiosa esistenza nella comunione con Dio e con i fratelli come in un banchetto perenne nella luminosità di un giorno senza tramonto: “I giusti risplenderanno come il sole nel Regno del Padre loro – (Matteo 13, 43).
c) Stando così le cose si può capire come, secondo la Bibbia, la Geenna, in quanto esclusione dal Regno, altro non è che la mancanza, la privazione, la perdita di tutto ciò che può rendere l’uomo veramente felice: amore, gioia, pace, bontà, fratellanza; e la presenza di tutto ciò che lo rende veramente infelice: libertinaggio, inimicizie, discordie, odio… Si può anche capire come sia possibile condannarsi alla Geenna fin da questa vita.
“Ho l’inferno nel cuore!”, disse l’innominato al buon Federico. La vita di quell’uomo era, infatti, tutta un intreccio di odio, ingiustizie, ipocrisie, crudeltà, nefandi delitti. Quando ci vide chiaro, riconobbe di avere scelto una vita infernale.
Così pure quando in una casa, in una famiglia, in un ambiente di lavoro non c’è armonia, rispetto, giustizia, ma piuttosto egoismo, sfruttamento, ingiustizia, odio, vendetta, si dice abitualmente. “Qui siamo in un inferno!”. Naturalmente nessuno pensa al fuoco che brucia materialmente, ma alla mancanza di tutto ciò che può far l’uomo felice come l’amore, la pace, la gioia. Sono pallide immagini della realtà infernale.
d) Quella finora descritta è chiamata nel linguaggio abituale dei cattolici pena del danno e consiste, come abbiamo detto, nella perdita o privazione del Regno di Dio, pienezza di giustizia e di pace, di amore e di gioia.
Ma nel linguaggio cattolico, con riferimento sempre alla Bibbia, si parla pure della pena del senso, che è indicata appunto nelle immagini bibliche soprattutto con quella del fuoco.
Che cosa significa questa immagine? Escludiamo assolutamente che si debba pensare a un fuoco materiale, che bruci eternamente le anime dei dannati! I tdG che attribuiscono alla Chiesa Cattolica tale insegnamento sono ignoranti (la base), in malafede (i dirigenti).
Per capire la pena del senso ricordiamo che il fuoco nella Bibbia è simbolo della santità di Dio nel suo duplice aspetto: attraente e terribile. Attira come irresistibile Amore che purifica (Esodo 19, 9-10; Isaia 6, 67), ma brucia o divora ogni impurità (cf. Deuteronomio 5, 25). Per coloro che hanno fatto la scelta del rifiuto e della ribellione, che non si sono purificati, il fuoco divino continua ad ardere, ma non attrae più né salva. Il malvagio indurito si strugge, soffre senza rimedio. La Bibbia esprime così che cosa può essere l’esistenza d’una creatura che, rifiutando di essere purificata dal fuoco, ne rimane bruciata .
e) Dov’è l’inferno?
Cominciamo col dire che nel Nuovo Testamento non troviamo nessuna “geografia” dell’aldilà (centro della terra, in fondo al mare, ecc.) come avviene in molti scritti dell’Antico Testamento specie del tardo giudaismo e anche del cristianesimo medievale (basti pensare alla Divina Commedia) e anche di alcune sette pseudo-cristiane del nostro tempo.
Quando gli scrittori del Nuovo Testamento parlano di Geenna o di “stagno o lago di fuoco e di zolfo” (cf. Apocalisse 20, 10-14; 21, 8), il luogo o paesaggio può essere la valle a sud di Gerusalemme dei tempi dei re Achaz o Manasse oppure quello del Mar Morto. Ma si tratta di immagini che non vanno prese alla lettera.
Ma se si pensa che l’inferno consiste nell’essere esclusi dalla gioia del Regno, in una vita senza bontà, senza bellezza, senza speranza, appare chiaro che l’essere qui o là è secondario. Dovunque il dannato si trovi, avrà l’inferno sempre con sé, come in una società o famiglia sana e gioiosa il malvagio è escluso o piuttosto si esclude dalla gioia e dalla pace degli altri.
Perdita non distruzione
La Geenna, dunque, non significa “la distruzione completa ed eterna” dell’uomo, come erroneamente affermano i tdG (cf. infra, Terza Parte). Le prove bibliche in contrario sono molteplici.
a) Già nell’ A.T., i profeti intravedono come, dopo la morte, i malvagi andranno incontro a una sorte o retribuzione eterna, che è un modo di essere infelice e penoso. Isaia parla di “verme che non morirà e di fuoco che non si spegnerà’” (cf. 66, 24; 33, 14). Daniele poi è il primo esplicito messaggero di Dio circa il destino finale dell’uomo: “Molti di quelli che dormono nella polvere della terra sì sveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l’infamia eterna” (12, 2). E’ impossibile riferire questo linguaggio a uno stato di inesistenza o distruzione’ completa. Per chi non esiste più, non vi può essere né verme né fuoco né vergogna né infamia eterna. C’è il nulla!
b) Ma è soprattutto nel N. T. dove la rivelazione di una esistenza penosa ed eterna dopo la morte si fa chiara. Sempre che nel N.T. si parla della sorte dei malvagi dopo la morte i termini che si usano indicano un cambiamento di stato o modo di essere, continuando nell’esistenza, non una distruzione completa. Gesù parla di gettare (greco bàllein) o di andare (greco èrchomai) nella Geenna (cf. Matteo 5, 29-30; 25, 46; Marco 9, 43). Parimenti Giovanni nell’Apocalisse (20, 10) dice che il diavolo fu gettato (greco bàllein) nello stagno di fuoco, dove assieme alla bestia e al falso profeta saranno tormentati giorno e notte pei secoli dei secoli. Senza un’esistenza, un modo di essere e di vivere, non si può essere tormentati.
In Luca 12, 4-5 Gesù dice: “Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far nulla (…). Temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare (greco embàllein) nella Geenna” (cf. Matteo 10, 28-31). A differenza dell’uomo che, dopo aver ucciso, nulla può fare verso un suo prossimo, il potere di Dio si estende anche dopo la morte dell’uomo. Egli può mandare nella Geenna. Su chi o su che cosa Dio esercita questo suo potere se dopo la morte l’uomo va incontro a una distruzione completa ed eterna?
Perciò quando nel passo parallelo di Matteo 10, 28-31 Gesù dice: “Temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire (apùllumi) anima e corpo nella Geenna”, il pensiero è che l’uomo tutto intero può incorrere in una grave sciagura, in una tremenda rovina, non in una distruzione completa, anche dopo aver perso la vita terrena .
Dio è Amore (1 Giovanni 4, 8)
Fu lo Spirito Santo mandato dal Padre nel nome del Figlio a insegnare a Giovanni che Dio è Amore (cf. Giovanni 14, 16-21). Dio ha mostrato il suo amore fin da principio nella creazione, dando all’uomo il dono della libertà, che colloca l’uomo all’apice del creato, e lo fa simile a Dio (cf. Genesi 1, 27) e suo interlocutore. Senza la libertà l’uomo non è uomo.
Perciò Dio ha potuto dire all’uomo: “Vedi lo pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; poiché io oggi ti comando di amare il Signore tuo Dio (…) perché tu viva (…) Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu ascolti (…) altri dèi (…), io vi dichiaro oggi che certo perirete” (Deuteronomio 30, 15-18). L’uomo dunque può dire di no all’Onnipotente.
Ma anche di fronte al rifiuto aberrante dell’uomo, Dio rimane identico a se stesso e fedele. Egli è sempre Amore “perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Romani 5, 8; cf. 1 Timoteo 2, 4-6; 2 Timoteo 2, 13).
Ma l’uomo può dire ancora di no, può rifiutare per sempre l’amore di Dio.
Questo è l’inferno, ed esiste solo dalla parte dell’uomo perché è divinamente impossibile che Dio possa o voglia cooperare minimamente a tanta aberrazione.
E’ bene perciò puntualizzare una verità spesso ignorata:
“Il Cristianesimo non è affatto una dottrina delle due vie, non mette cioè sullo stesso piano un ‘paradiso’ e un ‘inferno’ come due sbocchi possibili allo stesso modo. Anzi, per essere precisi. ‘l’inferno’ (…) in un certo senso non fa parte della escatologia cristiana. Per questa la storia degli individui e dell’umanità non ha due mète, ma una sola: la salvezza, il ‘paradiso’…
Questa è la certezza del credente. Certezza che non cancella per i singoli, per ogni uomo, per me stesso, la possibilità terribile e concreta di un totale fallimento. Forse all’inferno non c’è nessuno (…). ciò non toglie però la possibilità che io sia il primo a sperimentarlo. In ogni caso, se questo dovesse avvenire, non sarà per il giudizio di un Dio bisbetico e vendicativo; semmai per un ‘auto-giudizio’: all’inferno non si va, si resta come scelta radicale di tutta la vita” .
La Chiesa Cattolica ha ricordato che “Molto spesso gli uomini vivendo e morendo senza Dio in questo mondo, sono esposti alla disperazione finale”.
Padre Nicola Tornese s.j.
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