I Testimoni di Geova – Lezione N° 147
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A chi il potere di “legare” e “sciogliere”?
E’ l’altro interrogativo che pongono i testi di Matteo 16, 19 e 18, 18 e a cui bisogna dare una risposta mediante l’analisi accurata degli stessi testi.
- a) Per Matteo 16, 19 la risposta non crea problemi perché è chiara e sicura. Le parole “legare e sciogliere” sono rivolte a Pietro: “A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che (tu) legherai… e tutto ciò che (tu) scioglierai” (Matteo 16, 18). A principio del verso Gesù dice “E io ti dico”. A Pietro (Kefa) dunque Gesù conferisce il potere magisteriale e indirettamente quello salvifico-penitenziale. Non vi può essere dubbio a questo riguardo.
- b) Non così chiaro appare chi sia il soggetto del potere di legare e sciogliere, di cui in Matteo 18, 18. A prima vista sembrerebbe che il soggetto di tale potere sia qualunque membro della comunità: “Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello” (Matteo 18, 15).
Tuttavia va notato che l’effetto dell’ammonizione solo a solo è quello di “guadagnare il fratello”, cioè adoperarsi che egli si ravveda e non lasci la comunità né venga escluso “. Qui non c’entra nessun esercizio di potere, di legare o di sciogliere. E’ un approccio, un tentativo privato, personale, fraterno.
- c) Lo stesso significato può essere attribuito al secondo tentativo, che è di risolvere la questione. Sulla parola o davanti a due testimoni (Matteo 18, 16). Il tentativo è ancora privato, anche se con la partecipazione di più persone, ed ha pure lo scopo di indurre il peccatore a un ripensamento prima di. ricorrere alla Ekklesìa. Solo a questa spetta la decisione finale. “E se non ascolterà neanche l’assemblea (Ekklesìa), sia per te come un pagano e un pubblicano – (Matteo 18, 17). Come per dire: tu non sei più responsabile. Spetta ai responsabili della comunità (Ekklesìa) risolvere il caso in modo definitivo.
A questo punto sono inserite le parole: “In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche nei cieli e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo” (Matteo 18, 18). Sono come il punto di arrivo di un cammino, che si conclude con una dichiarazione autorevole e ufficiale circa la riammissione nella o la esclusione dalla comunità dei salvati del fratello peccatore.
- d) In questo contesto è logico, anzi d’obbligo, pensare che Gesù avesse in mente la Ekklesìa, cioè la comunità dei suoi discepoli, che gode di una struttura voluta da lui stesso. In questa comunità vi sono delle guide o ministri qualificati, posti dallo Spirito Santo “a pascere la Chiesa di Dio” (Atti 20, 28). Le parole di Gesù: “tutto quello che legherete ecc.”, contengono un chiaro riferimento ai pastori della Ekklesìa, al quali spetta il potere decisionale nei riguardi del fratello peccatore. Quelle parole non sono dirette alla massa indeterminata – a tutti e a nessuno – ma a coloro che, certo col contributo della comunità, hanno il dovere e il potere di legare e di sciogliere, riammettere o escludere i peccatori dalla comunità ecclesiale.
- e) Gli studiosi della Bibbia concordano nell’affermare che le parole di Gesù in Matteo 18, 18 sono parallele a quelle che il Risorto dirà ai Dodici, nella sua apparizione la sera di quello stesso giorno, in cui risuscitò da morte (cf. infra, p. 16). A loro avviso, Matteo 18, 18 presenta la vita della comunità ecclesiale dopo la Pentecoste e appare chiaro che fin d’allora le guide costituite dal divin Fondatore della Chiesa vigilavano sul comportamento dei membri della comunità ed esercitavano il potere di legare e di sciogliere.
Concludendo possiamo dire o ripetere che al fratello peccatore era ed è, offerto nella Chiesa un cammino penitenziale. Anzitutto egli deve essere corretto in privato (cf. Matteo 18, 15); poi alla presenza di testimoni (cf. Matteo 18, 16), affinché si ravveda. Ma il giudizio definitivo e salvifico spetta alla comunità strutturata, dove le guide poste dallo Spirito Santo diranno la parola autorevole, valida davanti alla comunità e davanti a Dio, “sopra la terra e in cielo”. A queste guide Dio ha affidato il potere di legare e di sciogliere.
La consegna del Risorto (Giovanni 20, 21-23)
Nel vangelo di Giovanni il conferimento del potere di rimettere i peccati è collegato con l’apparizione del Risorto agli Apostoli la sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, che oggi è la domenica di Pasqua. Racconta Giovanni:
“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani ed il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a: voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi!”. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi” (Giovanni 20, 19-23).
Spiegazione:
- a) Al numero ristretto dei Dodici e senza dubbio a quanti nel tempo prima della fine avrebbero continuato il loro specifico ministero (ai loro successori) il Risorto affida una missione che continua quella che Egli ha ricevuto dal Padre: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi” (Giovanni 20, 21). Gli Apostoli, in qualità di mandati (apostolo vuol dire mandato) devono raccogliere i frutti della redenzione operata dal Figlio di Dio. Egli è venuto a redimere dal peccato, a salvare tutti (cf. Giovanni 12, 32), non a condannare (cf. Giovanni 3, 17).
La missione affidata agli Apostoli è un dono dello Spirito Santo: “Ricevete lo Spirito Santo” (Giovanni 20, 22). Certo, i doni dello Spirito Santo sono dati a tutti i discepoli di Cristo (cf. Atti 2, 4.17-21; 10, 44). Ma vi è diversità di doni o carismi, benché uno sia lo Spirito che li dà (cf. I Corinzi 12, 4-11). Tra questi doni vi è quello del governo (cf. Corinzi 12, 28; Atti 20, 28) ossia di guidare la comunità dei fedeli lungo la via della salvezza come maestri e giudici (cf. 1 Corinzi 5, 4). Nel caso presente il dono dello Spirito Santo è la sua virtù o potenza salvifica, che abilita gli Apostoli (e i loro successori) a rimettere, cioè a perdonare i peccati davanti a Dio.
- b) Per un’esatta comprensione del dono dello Spirito Santo, di cui in Giovanni 20, 21-23, bisogna ,precisare il significato delle parole rimettere e ritenere, come è stato fatto per legare e sciogliere. Questa precisazione è necessaria perché alcuni non cattolici sono del parere che il Risorto, in quella apparizione, abbia conferito il mandato di predicare il Vangelo e di battezzare, senza riferimento al perdono dei peccati commessi dopo il battesimo. Vedremo che non è così .
Circa il significato di rimettere (greco a-fiemi) va notato che in non pochi testi biblici del Nuovo Testamento questo verbo indica la remissione o perdono dei peccati personali senza riferimento al battesimo. Così, per esempio, in Matteo 9, 2-6 le parole di Gesù: “ti sono rimessi i peccati” (greco a-lientai sou ai amartiai) sono intese dagli scribi e farisei come l’esercizio (o usurpazione) di un potere proprio di Dio, cioè, cancellare i peccati personali o attuali. Gesù non corregge questa interpretazione. Lo stesso linguaggio in Marco 2, 8 e Luca 5, 21-26. Dicendo “ti sono rimessi i peccati” o “le sono perdonati i suoi peccati” (Luca 7, 47) Gesù intende perdonare i peccati personali del paralitico e della donna adultera indipendentemente di qualsiasi battesimo.
Il dono dunque o carisma concesso agli Apostoli dal Risorto comporta il potere o autorità di perdonare i peccati senza riferimento al rito battesimale. Questo potere deve essere esercitato in seno alla comunità dei battezzati come risulta da Matteo 18, 18, a favore del fratello, cioè di un battezzato caduto in peccato (cf. 1 Corinzi 5, 4). La conclusione è che con la parola “rimettere” è detto chiaramente che il Risorto ha dato agli Apostoli, cioè alle guide della sua comunità di ogni tempo, il potere di perdonare i peccati commessi dopo il battesimo.
- c) Alla stessa conclusione fa arrivare l’analisi del verbo ritenere (greco kratèo). Etimologicamente kratèo (= ritenere) vuol dire “esercitare un potere” oppure “obbligare a fare qualcosa (come il legare in Matteo 18, 18). Un esempio si ha in Marco 12, 12. Le autorità religiose di Gerusalemme vogliono “catturare” (kratèsai) Gesù, cioè esercitare su di lui la loro autorità. Gesù apparteneva alla loro comunità religiosa, era giuridicamente un loro suddito.
Alla luce di questa precisazione, in Giovanni 20, 23 ritenere (kratèo) non significa semplicemente “non rimettere” i peccati, o “non assolvere”, ma anche esercitare un potere sul peccatore non ancora pentito, e che quindi non si trova nelle disposizioni adatte per essere perdonato. In questo caso l’esercizio del potere serve a spingerlo a fare qualcosa che lo renda degno dell’assoluzione.
A questo livello, quindi, ritenere equivale a “vincolare”, “legare” il peccatore, “obbligarlo” ad adempiere certe condizioni che lo portino alla conversione e al perdono. Non si tratta quindi di “non voler perdonare”, dal momento che il Signore vuole salvare tutti e invita a perdonare “settanta volte sette” (Matteo 18, 22), cioè sempre. Ma si rinvia il perdono fino a quando il fratello non riconosce di aver sbagliato, si pente, ed è pronto a cambiare vita. Se non fa nessuna di queste cose, i suoi peccati vengono “ritenuti”, cioè non vengono perdonati.
Tutto questo indica che gli Apostoli, cioè le guide della comunità cristiana, possono esercitare un’autorità, hanno cioè un certo potere sul fratello che ha peccato. Questi è un membro della comunità dei santi ricaduto in peccato. Ciò non sarebbe possibile se si trattasse di uno non ancora battezzato, ossia non ancora incorporato alla Ekklesìa.Su i non battezzati le guide della Chiesa non hanno alcun potere (cf. 1 Corinzi 5, 12), non possono imporre obblighi come a coloro che, col battesimo, hanno accettato una determinata forma di vita.
Padre Nicola Tornese S.j.
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