Il Vangelo nelle rivelazioni della mistica Maria Valtorta
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Dal “Poema dell’Uomo Dio”
di Maria Valtorta
Gesù e Zaccheo
Vedo una vasta piazza, pare un mercato, ombrosa di palme e di altre piante più basse e fronzute. Le palme crescono qua e là senza disciplina e ondeggiano il ciuffo delle foglie che crepitano ad un vento caldo e alto, che solleva un polverume rossastro come venisse da un deserto, o per lo meno da luoghi incolti, di terra rossastra. Gli altri alberi, invece, fanno come un porticato lungo i lati della piazza, un porticato d’ombra, e sotto si sono rifugiati venditori e compratori in una gazzarra irrequieta e urlante.
In un angolo della piazza, proprio là dove la via principale sfocia, vi è un primordiale ufficio di gabella. Vi sono bilance e misure, un banco a cui è seduto un ometto che sorveglia, osserva e riscuote, e col quale tutti parlano come fosse conosciutissimo. So essere Zaccheo il gabelliere, perché molti lo chiamano, chi per interrogarlo sugli avvenimenti della città, e sono i forestieri, e chi per versargli le loro tasse.
Molti si stupiscono della sua preoccupazione. Infatti pare distratto e assorto in un pensiero. Risponde a monosillabi e delle volte a cenni. Cosa che stupisce molti, perché si capisce che solitamente Zaccheo è loquace. Qualcuno gli chiede se si sente male, oppure se ha parenti malati. Ma egli nega.
Solo due volte si interessa vivamente. La prima, quando interroga due che vengono da Gerusalemme e che parlano del Nazareno, raccontando miracoli e predicazione. Allora Zaccheo fa molte domande: «È proprio buono come Lo dicono? E le sue parole corrispondono ai fatti? La misericordia che Egli predica la usa poi realmente? Per tutti? Anche per i pubblicani? È vero che non respinge nessuno?».
E ascolta e pensa e sospira.
Un’altra volta è quando uno gli accenna ad un uomo barbuto che passa sul suo asinello carico di masserizie. «Vedi, Zaccheo? Quello è Zaccaria il lebbroso. Da dieci anni viveva in un sepolcro. Ora, guarito, ricompra gli arredi per la sua casa vuotata dalla Legge quando lui e i suoi furono dichiarati lebbrosi».
«Chiamatelo».
Zaccaria viene.
«Tu eri lebbroso?».
«Lo ero, e con me mia moglie e i miei due bambini. La malattia prese la donna per prima e non ce ne accorgemmo subito. I bambini la presero dormendo sulla madre e io nell’accostarmi alla mia donna. Tutti lebbrosi eravamo! Quando se ne accorsero ci mandarono via dal paese… Avrebbero potuto lasciarci nella nostra casa. Era l’ultima… in fondo alla via. Non avremmo dato noia…
Avevo già fatto crescere la siepe alta alta, perché neppure fossimo visti. Era già un sepolcro… ma era la nostra casa… Ci hanno mandati via. Via! Via! Nessun paese ci voleva. È giusto! Neanche il nostro ci aveva voluti.
Ci mettemmo presso Gerusalemme, in un sepolcro vuoto. Là stanno molti infelici. Ma i bambini, nel freddo della caverna, sono morti. Malattia, freddo e fame li hanno presto uccisi… Erano due maschi… erano belli prima del male. Robusti e belli. Bruni come due more d’agosto, ricciuti, svegli. Erano diventati due scheletri coperti di piaghe… Non più capelli, gli occhi chiusi dalle croste, i piedini e le mani che cadevano in scaglie bianche. Si sono sfarinati sotto i miei occhi, i miei bambini!…
Non avevano più figura umana quella mattina che sono morti, a poche ore di distanza… Li ho seppelliti fra gli urli della madre sotto poca terra e molti sassi, come due carogne di animali… Dopo qualche mese è morta la madre… e sono rimasto solo… Aspettavo di morire e non avrei avuto neppure la fossa scavata con le mani degli altri…
Ero quasi cieco ormai, quando un giorno è passato il Nazareno. Dal mio sepolcro ho gridato:
“Gesù! Figlio di Davide, abbi pietà di me!”.
Mi aveva raccontato un mendico, che non aveva avuto paura di portarmi il suo pane, che egli era stato guarito dalla sua cecità invocando il Nazareno con quel grido. E diceva:
“Non mi ha dato solo la vista degli occhi, ma quella dell’anima. Ho visto che Egli è il Figlio di Dio e vedo tutti attraverso Lui. È per quello che non ti sfuggo, fratello, ma ti porto pane e fede. Vai dal Cristo. Che ci sia uno di più che lo benedica”.
Andare non potevo. I piedi, piagati sino all’osso, non mi facevano camminare… e poi… sarei stato preso a sassate, se fossi stato visto. Sono stato attento al suo passaggio. Egli passava spesso per venire a Gerusalemme. Un giorno ho visto, come potevo vedere, un polverume sulla via, e folla, e ho sentito grida. Mi sono trascinato sul ciglio del colle dove erano le grotte sepolcrali e, quando m’è parso di vedere una testa bionda splendere nuda fra le altre ammantate, ho gridato. Forte. Con quanta voce avevo. Tre volte ho gridato. Finché il mio grido gli è giunto.
Si è voltato. Si è fermato. Poi è venuto avanti: solo. Si è fatto proprio sotto al posto dove ero e mi ha guardato. Bello, buono, con due occhi, una voce, un sorriso!… Ha detto:
“Che vuoi che ti faccia?”.
“Voglio esser mondato”.
“Credi tu che Io lo possa? Perché?” mi ha chiesto.
“Perché sei il Figlio di Dio”.
“Credi tu questo?”. .
“Lo credo” ho risposto. “Vedo l’Altissimo balenare con la sua gloria sul tuo capo. Figlio di Dio, pietà di me!”.
Ed Egli allora ha steso una mano con un viso che era tutto un fuoco. Gli occhi parevano due soli azzurri, e ha detto: “Lo voglio. Sii mondato”, e mi ha benedetto con un sorriso!… Ah! che sorriso!
Ho sentito una forza entrare in me. Come una spada di fuoco che correva a cercarmi il cuore, che correva per le vene. Il cuore, che era tanto malato, m’è tornato come a venti anni, il sangue ghiaccio nelle vene è tornato caldo e veloce. Non più dolore, non più debolezza, e una gioia, una gioia!…
Egli mi guardava, col suo sorriso mi faceva beato. Poi ha detto:
“Va, mostrati ai sacerdoti. La tua Fede ti ha salvato”.
Allora ho capito che ero guarito e ho guardato le mie mani, le mie gambe. Le piaghe non c’erano più. Dove prima era scoperto l’osso, ora era già carne rosea e fresca. Sono corso a un rio e mi sono guardato. Anche il viso era mondo. Ero mondo! Mondo ero dopo dieci anni di schifezza!… Ah! perché non era passato avanti? Negli anni in cui era viva la mia donna e i miei bambini? Egli ci avrebbe guariti. Ora, vedi? Compro per la mia casa… Ma sono solo!…»
«Non lo hai più visto?».
«No. Ma so che è da queste parti e sono venuto qui apposta. Vorrei benedirlo ancora ed esser benedetto per avere forza nella mia solitudine».
Zaccheo curva il capo e tace. Il gruppo si scioglie. Passa del tempo. L’ora si fa calda. Il mercato si sfolla. Il gabelliere, col capo appoggiato ad una mano, pensa seduto al suo banco.
«Ecco, ecco il Nazareno!» gridano dei fanciulli, accennando la via maestra. Donne, uomini, malati, mendichi si affrettano a corrergli incontro. La piazza resta vuota. Solo dei ciuchi e dei cammelli, legati alle palme, restano al loro posto, e resta Zaccheo al suo banco.
Ma poi si alza in piedi e monta sul banco. Non vede ancora nulla, perché molti hanno staccato frasche e le ondeggiano come per giubilo e Gesù appare chino su dei malati. Allora Zaccheo si leva l’abito e, rimanendo con la sola tunica corta, si arrampica su uno degli alberi.
Va su a fatica contro il tronco grosso e liscio, che le sue corte gambe e le sue corte braccia afferrano male. Ma ci riesce e si mette a cavalcioni di due rami come su un ballatoio. Le gambe pendono oltre questa ringhiera, ed egli dalla cintura in su si spenzola come uno ad una finestra, e guarda. La turba arriva sulla piazza. Gesù alza gli occhi e sorride al solitario spettatore appollaiato fra i rami.
«Zaccheo, scendi subito. Oggi mi fermo in casa tua» ordina.
E Zaccheo, dopo un momento di stupore, col viso paonazzo per l’emozione, si lascia scivolare come un sacco a terra. È agitato e stenta a rimettersi la veste. Chiude i suoi registri e la sua cassa con mosse che, per volere esser troppo svelte, sono ancor più lente. Ma Gesù è paziente. Accarezza dei bambini mentre aspetta.
Infine Zaccheo è pronto. Si accosta al Maestro e Lo guida ad una bella casa con un ampio giardino tutto intorno, che è al centro del paese. Un bel paese. Anzi una città di poco inferiore a Gerusalemme per la edilizia, e non per la vastità.
Gesù entra e, mentre attende che il pasto sia preparato, si occupa di malati e di sani. Con una pazienza… che solo può essere sua. Zaccheo va e viene dandosi un gran daffare. Non sta in sé dalla gioia. Vorrebbe parlare con Gesù. Ma Gesù è sempre circondato da una turba di popolo.
Infine Gesù congeda tutti dicendo: «Al calar del sole tornate. Ora andate alle vostre case. La pace a voi».
Il giardino si sfolla e viene servito il pasto in una bella e fresca sala che dà sul giardino. Zaccheo ha fatto le cose con ricchezza. Non vedo altri famigliari, per cui penso che Zaccheo fosse celibe e solo, con molti servi.
Alla fine del pasto, quando i discepoli si spargono all’ombra dei cespugli per riposare, Zaccheo resta con Gesù nella fresca sala. Anzi per un poco resta solo Gesù, perché Zaccheo si ritira come per lasciar riposare Gesù. Ma poi torna e guarda da una fessura di tenda. Vede che Gesù non dorme, ma pensa. Allora si avvicina. Ha fra le braccia un cofano pesante. Lo pone sulla tavola presso a Gesù e dice:
«Maestro… mi è stato parlato di Te. Da tempo. Un giorno Tu hai detto su un monte tante verità che i nostri dottori non sanno più dire. Mi sono rimaste in cuore… e da allora penso a Te…
Poi mi è stato detto che sei buono e non respingi i peccatori. Io sono peccatore, Maestro.
Mi è stato detto che Tu guarisci i malati. Io sono malato nel cuore perché ho frodato, perché ho fatto usura, perché sono stato vizioso, ladro, duro verso i poveri. Ma ora, ecco, io sono guarito perché Tu mi hai parlato.
Ti sei avvicinato a me e il demonio del senso e della ricchezza è fuggito.
Ed io da oggi sono tuo, se Tu non mi rifiuti, e per mostrarti che io nasco di nuovo in Te, ecco che mi spoglio delle ricchezze male acquistate e ti do metà del mio avere per i poveri e l’altra metà la userò a restituire, quadruplicato, quanto ho preso con frode.
So chi ho frodato. E poi, dopo aver reso ad ognuno il suo, ti seguirò, Maestro, se Tu lo permetti…». .
«Io lo voglio. Vieni. Sono venuto per salvare e chiamare alla Luce. Oggi Luce e Salvezza è venuta alla casa del tuo cuore. Coloro che là, oltre il cancello, mormorano poiché Io ti ho redento sedendomi al tuo convito, dimenticano che tu sei figlio di Abramo come essi e che Io sono venuto per salvare chi era perduto e dare Vita ai morti dello spirito.
Vieni, Zaccheo. Hai compreso la mia parola meglio di tanti che mi seguono solo per potermi accusare. Perciò d’ora in avanti sarai con Me».
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