Don Matteo, fiction che dice molto dell’Italia di oggi
Questo articolo è stato già letto937 volte!
Tornano i giorni di Don Matteo. L’eccellente risultato che sta riscuotendo l’ottava serie televisiva del prete interpretato da Terence Hill ci induce a qualche riflessione. Con la sua media di ascolti, attestata attorno al 26 per cento, quest’ultima edizione si pone come il più grande successo televisivo della stagione. Un pubblico costante, il suo, che in maniera deliberata cerca questo programma. Non è trascurabile il fatto che la rete (Rai1) che l’ha in palinsesto si stia in questo periodo attestando su una media di ascolti del 16 per cento, inferiore cioè di dieci punti, rendendo ancora più rilevante il risultato raggiunto dalla fiction egregiamente prodotta da Lux Vide.
Questi numeri tuttavia, anche al di là di una valutazione sul fenomeno tecnica mente televisivo, non sono un dato inerte per chi vuol capire qualcosa dell’Italia profonda di oggi. Nella quale evidentemente i valori «resistono» più di quanto talora non si ipotizzi. È sufficiente infatti che si esibisca un prodotto gradevole, scritto da un pool di autori capaci e interpretato da attori eccellenti, perché si risvegli qualcosa che sembra ormai perduto mentre è lì, forse solo assopito. Qualcosa scatta nel pubblico che prontamente riconosce il suo ambiente, il contesto per un’esistenza apprezzabile, dove però il dato fiabesco è più apparente che reale.
L’Italia portata in scena in quel di Gubbio, impareggiabile set della fortunata serie, è l’Italia sana, nella quale i rapporti interpersonali resistono, la trama delle relazioni è in grado di riempire una giornata e il sentirsi parte di una comunità è fattore decisivo e del tutto gratificante. La stessa inflessione criminale che, in omaggio allo spirito dei tempi, pure quest’ultima serie del Don Matteo ha dovuto assimilare, viene come risignificata in una trama di realismo che ha in sé orizzonti di senso compiuto. Non c’è nulla, nella vita di un uomo o di una famiglia, che non possa essere redento.
Nulla. Per cui l’indugiare sui guasti sociali diventa occasione di recupero e rilancio in avanti, in un’esistenza che puntualmente rivela potenzialità inesauste. Non sapremo mai quando il personaggio messo in scena da un convincente Terence Hill abbia contribuito in concreto a riavvicinare gli italiani alla figura del prete, in una stagione per la verità non scevra da inquietudini e venature polemiche. Il prete come credente, ma anche come testimonial di una vita riguadagnata in ogni suo millimetro alla serenità e all’equilibrio. Azzeccata ci è parsa allora l’affermazione della nostra Mirella Poggialini, secondo cui questa produzione della Lux Vide è «specchio attendibile di un’Italia ignorata», cioè di un habitat sociale intrinsecamente capace di tirare fuori virtualità impensabili di vita normale, bella da vivere.
Dino Boffo
Lascia un commento
Devi essere connesso per inviare un commento.