Giovani – Le nuove solitudini
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Ci si può sentire soli in un’epoca come la nostra, in cui la comunicazione sembra essere facilitata da tecnologie sempre più sofisticate? Nell’era di Internet, basta spingere il tasto di un computer per inviare in pochi secondi un’e-mail da Roma a Tokyo, da Londra a Mosca, da Parigi a New York. Un dito della mano è sufficiente per metterci in contatto con il resto del mondo. Eppure, nonostante questo, ci sono molti giovani soli, che non riescono a stabilire un reale rapporto con gli altri. Agli inizi del terzo millennio, stiamo assistendo alla nascita di tante “nuove solitudini”, completamente diverse da quelle che vivevano le precedenti generazioni. Sono forme di disagio tipiche del nostro tempo, frutto delle contraddizioni di un’epoca in cui i rapporti umani diventano sempre più difficili da mantenere.
La prima grande solitudine è figlia del computer. Questo straordinario strumento di lavoro può servire per fare cose meravigliose, ma può anche contribuire a creare nuove “celle di isolamento”. E’ come un bisturi. Nelle mani di un grande chirurgo può salvare migliaia di vite umane, ma se finisce nelle mani di un pazzo può fare del male ed uccidere.
Tanti giovani trascorrono ore davanti allo schermo di un computer, navigando tra un sito e l’altro o parlando attraverso le “chat”, le “mailing list” e i “newsgroup” di Internet. Apparentemente, sembrano comunicare. Ma bisognerebbe chiedersi: qual è la qualità di questo tipo di comunicazione? Spesso le persone che intervengono nei dialoghi virtuali delle “chat” non sono sincere. Ci sono, ad esempio, uomini che fingono di essere donne e viceversa. Alcuni hanno anche cattive intenzioni ed approfittano dell’ingenuità dei ragazzi. Il risultato è una comunicazione falsa e mascherata, che rischia di favorire l’isolamento e l’incapacità di sostenere un autentico rapporto con gli altri.
Un’altra “nuova solitudine” è quella del gioco. Oggi, purtroppo, non ci si diverte più come una volta. Nelle grandi metropoli, diventa sempre più rara la dimensione del cortile e della piazza, dove un tempo si praticavano i giochi all’aperto. Erano un’occasione per dialogare, per confrontarsi, per vivere una parentesi di svago rispettando delle regole ben precise. Quindi, erano anche dei momenti fortemente educativi.
Si sta diffondendo, invece, la moda dei videogiochi, che rappresentano un’ulteriore occasione per essere soli. Non ci si confronta più con gli altri, ma semplicemente con i suoni, i rumori, i colori di un avversario virtuale, che appare sullo schermo di un computer. Tempo fa, un catalogo di videogames ha ospitato una pubblicità molto triste, che diceva: “Butta il secchiello, abbiamo un gioco più bello”. Era un invito ad abbandonare i tradizionali giochi del mare, con la paletta e il secchiello, per dedicarsi a quelli elettronici. E’ la morte della creatività. Seguendo questo slogan, i ragazzi dovrebbero abbandonare i castelli di sabbia per restare incollati di fronte alle lotte sanguinarie dei videogames, dove i personaggi buoni si muovono con la stessa violenza dei cattivi.
Anche la televisione può essere fonte di “nuove solitudini”. Tanti ragazzi, infatti, hanno il televisore nella loro cameretta e subiscono un vero e proprio bombardamento di messaggi. Dalle trasmissioni che esaltano il mito dell’apparenza, dicendo che la chirurgia estetica è la fonte della vera felicità, ai telegiornali che non fanno più informazione, ma prediligono servizi su fotomodelle e attricette. Senza contare la falsità dei cosiddetti “reality show” e lo squallore di maghi, cartomanti e venditori di amuleti, pronti ad avventarsi come avvoltoi su chi attraversa momenti di difficoltà e sofferenza.
Quando si è soli, purtroppo, è facile essere indottrinati e strumentalizzati da programmi diseducativi. Si diventa prede di emittenti televisive senza scrupoli, il cui unico obiettivo è aumentare l’audience e sparare spot pubblicitari a ripetizione. Un’altra solitudine significativa è quella della discoteca. Molti ragazzi trascorrono il fine settimana nei locali da ballo, illudendosi di trovare un contatto con gli altri. Ma poi, la musica è talmente assordante da ostacolare qualunque tipo di dialogo. Di conseguenza, le discoteche si trasformano in un insieme di giovani soli che ballano. Ognuno è rinchiuso nel proprio guscio di mutismo e di incomunicabilità, mentre le luci psichedeliche impediscono di guardarsi realmente negli occhi.
Ma la solitudine più preoccupante è quella generata dal dilagante ateismo. Con la scusa del cosiddetto “Stato laico” si tende a creare sempre di più una società senza Dio, dominata dal qualunquismo e dal relativismo morale. In Italia, ultimamente, è scoppiata una polemica per la presenza del crocifisso sui muri delle scuole. In Francia, addirittura, è stata avanzata una proposta di legge per vietare l’uso di simboli religiosi “troppo visibili”. Il pericolo, per i giovani, è quello di ritrovarsi soli in un mondo sempre più materialista, privato di quel rapporto di filiazione divina che può rappresentare “una marcia in più” nei momenti di difficoltà. Chi sa di essere figlio di Dio non può mai sentirsi abbandonato di fronte ai propri problemi. Oggi, dunque, sono tante le occasioni di solitudine che rischiano di oscurare l’animo dei ragazzi. Che cosa si può fare per cambiare rotta e combattere questo fenomeno?
Prima di tutto, è necessario educare i giovani a sviluppare un maggiore senso critico nei confronti dei mezzi di comunicazione. Bisogna abituare i ragazzi a non subire in modo passivo i messaggi che ricevono dalla televisione. Poi, è necessario recuperare la tradizione dell’autentico stare insieme nei momenti di divertimento. Basta con le discoteche che impediscono la comunicazione! I gestori dei locali dovrebbero creare ambienti più favorevoli al dialogo. Potrebbero limitare il volume della musica e proporre giochi e balli di gruppo, che aiutino maggiormente a socializzare.
Infine, si dovrebbe evitare la presenza ossessiva di fronte allo schermo del computer. Per sfuggire a questo mondo ingannevole di rapporti virtuali, nasce spontaneo un imperativo: ritrovare i volti. Bisogna uscire di casa ed imparare ad incontrare gli altri. Gli altri veri. Non quelli falsi, mascherati, che si nascondono dietro la barriera di uno schermo.
La vera soluzione al problema della solitudine non sta in una notte trascorsa a “chattare” su Internet o in un sabato sera perduto nel rumore di un’assordante discoteca. Non sta neppure nei ripetitivi combattimenti dei videogiochi o nell’adorazione di qualche “velina” che ci sorride in modo forzato dal televisore. Sta nella porta di casa che si apre e che diventa, finalmente, un ponte verso la vita.
Ci sono tantissimi ambienti pronti ad accogliere i giovani con un sorriso vero, umano, non virtuale. Ad esempio, quelli del volontariato. Tanti ragazzi, invece di diventare schiavi delle “nuove solitudini”, hanno voluto dare un senso alla loro esistenza, offrendo alcune ore della propria giornata all’aiuto di poveri, anziani, malati, emarginati. C’è anche chi ha rinunciato alla solita vacanza al mare per fare un’esperienza diversa, più costruttiva, al fianco di missionari in Africa o in America Latina. Sarà tornato un po’ meno abbronzato, ma tanto “ricco” e cresciuto nell’anima.
Insomma, la solitudine non è un male incurabile. La migliore medicina bisogna cercarla nel nostro cuore, aiutandolo ad essere un po’ meno egoista e conformista, in un mondo che ci tende la mano ed ha un infinito bisogno d’amore
Carlo Climati
Milizia Mariana
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