I Testimoni di Geova – Lezione 115
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TESTIMONIANZE BIBLICHE
L’uso della spada
Nel testo paolino che stiamo analizzando è detto dell’autorità costituita che “non invano porta la spada; è infatti al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male” (Romani 13,4).
Facciamo alcune precisazioni:
a) A parere degli esegeti, è da escludersi che lo Apostolo conceda allo Stato l’uso della spada come strumento di guerra. Se si pensa che al tempo di san Paolo le guerre erano condotte con orribile scempio della vita umana (morti, prigionieri = schiavi), non si può ammettere che l’ambasciatore di Cristo (cf. Efesini 6, 20), avallasse tanta barbarie. Piuttosto l’uso della spada, in mano alle autorità superiori, deve essere concepito come strumento di pace per la tutela della giustizia, il trionfo del bene, la difesa dei buoni, la punizione dei malvagi.
b) Entro questi limiti e con tali finalità l’Apostolo riconosce al potere civile il diritto di usare la forza, qualora ogni altro mezzo risultasse inefficace per il conseguimento del bene comune. A questo deve mirare lo Stato, anche se talvolta ciò può essere in contrasto col bene privato. Anzi alcune volte il bene comune può esigere dai singoli grandi sacrifici, perfino il rischio e anche la per- dita della propria vita.
c) E’ perciò implicito nel pensiero di San Paolo che lo Stato, per conseguire il bene comune, deve addestrare convenientemente coloro i quali siano capaci di tutelare il bene della comunità. I cittadini che si sottraggono a quest’obbligo, violano la norma d’azione insegnata dall’autore ispirato. San Paolo esorta alla sottomissione alle autorità superiori proprio perché esse possano eseguire il compito assegnato loro da Dio.
d) Il servizio militare (o come alternativa quel- lo civile) e anche l’uso delle armi non devono qualificarsi come qualcosa d’intrinsicamente cattivo, immorale e antiscritturale. Al contrario, una neutralità ad oltranza è contro la volontà di Dio. Chi si oppone alle autorità superiori, si oppone all’or- dine stabilito da Dio.
Si obietta: Gesù Cristo rimproverò severamente Pietro per aver fatto uso della spada (cf. Matteo 26,51-52; Giovanni 18,10-11)
Si risponde: Gesù non condannò qualsiasi uso della spada: a Pilato non contestò il potere di condannare a morte, anche se l’ha rimproverato di usare male quel potere, facendo crocifiggere un innocente. Nel caso specifico di Pietro, Gesù ha rimproverato severamente il gesto del discepolo perché era un atto di violenza. Gesù condanna ogni violenza.
Esempio di san Paolo
Più volte san Paolo ebbe a che fare coi poteri civili e i custodi dell’ordine. Come si è comportato? Un episodio narrato nel libro degli Atti getta piena luce su quest’aspetto della vita dell’Apostolo.
I. – Accusato dai Giudei di aver parlato contro la Legge e il Tempio, l’apostolo è sottratto dalla loro violenza grazie a un tempestivo intervento del potere civile (cf. Atti 22,22-30; 23, 1-35). Paolo si dichiarava innocente e il magistrato romano da parte sua non era affatto convinto della fondatezza delle accuse. Ma non voleva dispiacere ai Giudei ed inimicarsi i loro capi.
In questa situazione di pericoloso compromesso a danno della sua vita e della causa cristiana, Paolo, quale cittadino romano, si sottrae al potere delle autorità locali e si appella al supremo tribunale dell’impero, che era allora quello di Nerone. La risposta di Festo, procuratore romano, dopo breve consulto coi suoi consiglieri, è perentoria:
“Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai” (Atti 25,11-12). Festo tenne Paolo sotto buona guardia di soldati fino al tempo propizio d’imbarcarlo per l’Italia (cf. Atti 27, 1). Infatti, i nemici di Paolo non cessavano di tramare contro la sua vita.
2. – Questi in breve i fatti. Da essi possiamo trarre alcune conclusioni per la soluzione del nostro problema:
– Senza la minima esitazione san Paolo riconosce la legittimità del potere civile, anche se pagano, e gli attribuisce il diritto di giudicare la sua causa per il trionfo della giustizia in difesa della sua innocenza.
– Non mostra il minimo dubbio, trova anzi naturale, che le autorità costituite abbiano al loro servizio e al servizio dei cittadini gente bene addestrata nelle armi. Né vi è il minimo cenno, in tutto il racconto della prigionia, a una qualsiasi parola di biasimo da parte di Paolo contro i soldati che lo custodivano. Al contrario, i suoi rapporti con loro appaiono improntati a grande umanità e rispetto (cf. Att. cc. 27-28). L’Apostolo si preoccupa della loro salute e della loro vita come di persone necessarie alla società.
Il saluto dei cristiani della casa di Cesare
Sempre in rapporto al problema che qui trattiamo è significativo il saluto con cui Paolo chiude la Lettera ai Filippesi: “Vi salutano i fratelli che sono con me (…), soprattutto quelli della casa di Cesare” (Filippesi 4, 22).
Spiegazione:
a) Quando Paolo scrisse questa Lettera era certamente in prigione (cf. Filippesi 1, 7-18), non sappiamo se a Roma, come vogliono alcuni, oppure a Cesarea di Palestina o ad Efeso, nell’odierna Turchia, come pensano altri. Benché in prigione, Paolo non cessava di predicare il Vangelo. Pieno di gioia confidava ai Filippesi:
“Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del Vangelo, al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo; in tal modo la maggior parte dei fratelli ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno…”. (Filippesi 1, 12-14).
b) Che cosa era il pretorio? Se Paolo scriveva da Roma, si trattava della guardia pretoriana che si accampava presso le mura dell’Urbe; se invece scriveva da Cesarca o da Efeso, bisogna pensare al personale addetto al servizio dei governatori romani. In ogni caso era un ambiente militare o paramilitare.
In questi ambienti la Parola di Dio si diffondeva. Alcuni di quegli uomini (forse molti) addetti al servizio e alla difesa dell’imperatore o dei suoi funzionari nelle provincie, si erano convertiti al Vangelo. Ed erano tuttavia rimasti al loro posto, senza deporre le armi, di cui certamente erano dotati. Dobbiamo, comunque, pensare che la fede cristiana aveva sensibilmente cambiato il loro modo di servire lo Stato e di usare le armi.
c) Scrivendo ai Filippesi Paolo porge i saluti soprattutto da parte di questi cristiani o fratelli o santi. L’espressione “casa di Cesare” comprende tutto il personale che stava al servizio dell’imperatore (militari, funzionari, schiavi ed affrancati), e se ne trovavano in ogni città dove risiedeva l’imperatore o un governatore.
III – SAN PIETRO
Scrivendo ai cristiani del suo tempo (e di ogni tempo) san Pietro, il Primo dei Dodici (cf. Matteo 10, 2) ha espresso il suo pensiero nel modo seguente
“Siate sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni. Perché questa è la volontà di Dio: che operando il bene, voi chiudiate la bocca all’ignoranza degli stolti. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio. Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re” (1 Pietro 2,13-17).
Osservazioni:
a) La lettera, scritta quasi certamente da Roma, ricorda ai cristiani quali siano i loro doveri verso lo Stato e in pari tempo contesta l’accusa dei pagani che qualificavano i cristiani come cittadini sleali.
Come aveva appreso alla scuola del Maestro san Pietro afferma che all’origine del potere civile, anche se pagano, vi è una volontà divina. Non è dunque il diavolo il governatore di questo mondo, se non in quanto tenta, com’è sua abitudine, d’intralciare l’opera di Dio.
b) La sottomissione che san Pietro inculca alle istituzioni umane deve essere fatta “per amore dei Signore”, ossia “per ragioni di coscienza” (Cf. Ro- mani 13, 5). La libertà, di cui il cristiano si gloria (Cf. Galati 5, 1), non lo esime da una coscienziosa cooperazione con lo Stato, perché siano assicurate la giustizia e la pace, con la punizione dei malfattori e la tutela dei buoni. E’ implicito che i cittadini devono dare allo Stato i mezzi necessari – tribuiti e uomini – affinché consegua lo scopo assegnatogli da Dio. Lo Stato è una realtà umana, strutturata di uomini e di cose.
c) Rimane anche vero che l’impegno civile del cristiano deve essere sempre guidato dal timore di Dio. In altre parole, a Dio è dovuta una sottomissione assoluta, sempre; e dentro i limiti d’un santo timore di Dio, va inserito l’onore verso il re e i suoi rappresentanti.
La testimonianza di san Pietro è identica a quella di san Paolo e originariamente a quella di Gesù.
Obiettano i tdG: Pietro chiama i cristiani “forestieri”, “residenti temporanei”, “stranieri” (Cf. 1 Pietro 1, 1; 2, 11). Questo fatto obbligava i cristiani a non partecipare alle questioni e controversie politiche di questo mondo.
Si risponde: San Pietro chiama i cristiani “forestieri”, e anche “pellegrini” non nel senso che debbano essere indifferenti e tanto meno alienati dalle realtà terrene, comprese quelle politico-sociali. Egli vuole solo dire che l’impegno del cri- stiano nella vita presente deve essere relativo, tutto indirizzato a trasformare il mondo col lievito del Vangelo (cf. Matteo 13, 13), senza attaccare disordinatamente il cuore ai beni passeggeri. San Paolo dice la stessa cosa quando ricorda ai cristiani di Corinto: “Quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno” (1 Corinzi 7, 3 1).
Apocalisse cap. 13
Una domanda: Nelle pagine che precedono più d’una volta è stato negato che satana sia il governante di questo mondo. Non si deve dire che questa affermazione sia in contrasto col cap. 13 dell’Apocalisse, dove, sotto l’immagine della bestia che sale dal mare (cf. Apocalisse 13, 1), satana è identificato coi governanti di questo mondo?
La risposta:
1. – Nel cap. 13 dell’Apocalisse la bestia che sale dal mare raffigura l’impero romano e, in genere, tutti gli Stati che usurpano i diritti di Dio. Fa parte di questa usurpazíone la pretesa di un culto divino dell’imperátore e l’arroganza di essere legislatori assoluti, arbitri del bene e del male. Si tratta dell’auto-divinizzazione dello Stato.
Effetti malefici di questa usurpazione sono la guerra contro i santi (cf. Apocalisse 13,7) e l’uso menzognero di un grande apparato propagandistico per trarre gli uomini in inganno, “sedurre cioè gli abitanti della terra” (Apocalisse 13,14).
Sotto questo aspetto lo Stato è detto giustamente una potenza diabolica che ha satana come governante; in questi casi satana è veramente il dio di questo mondo (cf. 2 Corinzi 4,4) ed è esatto dire che il mondo giace sotto il potere del maligno (cf. 1 Giovanni 5, 19).
2. – Ma si tratta di un determinato tipo di autorità superiori, che hanno tradito la funzione assegnata loro da Dio e sono diventate schiave del nemico di Dio, cioè di satana. Non si dimentichi che quando Giovanni scriveva l’Apocalisse aveva in mente l’impero romano, che perseguitava a morte la Chiesa ed esigeva il culto dell’imperatore. Non si dimentichi che per la retta comprensione di un testo biblico bisogna tener presenti la situazione e l’intenzione dell’autore ispirato per non correre il rischio d’una spiegazione errata. I tdG cadono spesso e volentieri in questo errore a motivo del loro settarismo.
Stando così le cose, ciò che Giovanni dice in Apocálisse cap. 13 non contrasta affatto con l’insegnamento di Gesù, di san Paolo e di san Pietro circa l’origine divina delle autorità superiori. Finché queste, con la cooperazione attiva di tutti gli uomini di buona volontà, si sforzano di compiere fedelmente la funzione affidata loro da Dio, non sono strumento di satana, ma servono Dio per l’avvento del suo Regno di giustizia e di pace.
Padre Nicola Tornese s.j.
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