I Testimoni dui Geova – Lezione 130
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CHE COSA E’ L’INFERNO? ERRORI E VERITA’
Discese agli “inferi”
Nel cosiddetto “Simbolo Atanasiano” i veri cristiani fanno la seguente professione di fede: “Patì per la nostra salvezza, discese agli ìnferi (ad inferos), il terzo giorno risuscitò dai morti”.
Qual è il significato di questa antica formula di fede?
a) Deve essere bandita, anzitutto, qualsiasi idea che Cristo sia andato ad essere tormentato tra i dannati. Anche se alcune traduzioni del simbolo rendono le parole “ad inferos” con “all’inferno”, tutti sanno ed ammettono che qui “inferno” non significa Geenna, ossia lo stato di pena dei peccatori induriti, ma “soggiorno dei morti”.
Il significato delle parole del Simbolo è che Cristo, dopo la sua morte, comunicò i benefici della redenzione ai milioni di creature umane decedute prima che egli offrisse la sua vita per la salvezza di tutti (cf. Marco 10, 45; Matteo 20, 28; 1 Timoteo 2, 5-6). Oppure che egli, dopo la sua morte e in virtù del suo valore redentivo, ha fatto conoscere la sua signoria da ogni creatura (cf. 1 Pietro 3, 18-19; Filippesi 2, 10; Apocalisse 1, 17-18).
E’ perciò una grossa bestemmia dire che “almeno per qualche tempo, Gesù sia stato nell’inferno”, come hanno scritto i tdG , in piena contraddizione con la loro affermazione che stiamo analizzando.
b) Il senso è che Cristo rimase nella tomba, cioè nel regno dei morti (Ade), solo tre giorni a differenza di Davide (cf. ivi verso 29); dopo di che in virtù della potenza divina tornò in vita, risuscitò.
Cristo non poteva essere sotto il potere di satana perché il principe del mondo, cioè il diavolo, dopo la sua passione, non poteva avere alcun potere su di lui (cf. Giovanni 14, 30). In rapporto all’inferno Cristo poteva avere solo potere di giudizio e di condanna come un magistrato che, in base alla sua autorità di giudicare e di condannare, può recarsi, se vuole, anche nel luogo di pena, ma sempre in veste di giudice; mai per essere trattato come un condannato.
5 – L’errore: “Genesi 37: 35 parla di Giacobbe che faceva lutto credendo che l’amato figlio Giuseppe fosse stato ucciso. La Bibbia dice. “(Giacobbe) si rifiutava di essere confortato e diceva- ‘Perché scenderò facendo lutto da mio figlio nello Sceol’. Fermiamoci un attimo. Lo Sceol era luogo di tormento? Giacobbe credeva forse che il figlio Giuseppe fosse finito in un luogo del genere per l’eternità? Voleva raggiungerlo li? Non pensava piuttosto che il figlio diletto fosse morto, nella tomba, per cui voleva morire anche lui?” (p. 82).
La verità:
a) Fermiamoci un attimo: i veri cristiani mai hanno detto che Giacobbe nel suo dolore pensasse a un luogo di eterno tormento. Solo la fantasia settaria dei tdG può indulgere in tali immaginazioni per oscurare la Verità di Dio.
Le parole di Giacobbe: “Voglio scendere in lutto da mio figlio nella tomba (Sceol)”, equivalgono alla nostra frase: “Voglio piangere mio figlio fino alla, mia morte, voglio conservare il lutto per tutta la. vita”. Qui non c’entra affatto qualsiasi riferimento all’inferno. Giacobbe pensava che Giuseppe fosse finito nel ventre d’una belva!
b) Tutto il ragionamento sofisticato dei geovisti si può esprimere nel modo seguente: “Giacobbe non poteva pensare che lo Sceol fosse un luogo di eterno tormento. Dunque l’inferno non esiste”. Il presupposto di tutto il sofisma è l’insinuazione che Sceol potesse significare “luogo di eterno tormento”. Questo presupposto è falso’. Dunque tutto il ragionamento è falso e inconcludente.
6 – L’errore:
“Sì, anche i buoni vanno nello Sceol. Pensate per esempio a Giobbe, famoso per la sua integrità e fedeltà a Dio. Poiché soffriva molto, chiese aiuto a Dio. La sua preghiera si trova in Giobbe 14: 13: “Oh mi nascondessi tu nello Sceol, … mi stabilissi un limite di tempo e ti ricordassi di me!. Riflettete: se lo Sceol fosse un infuocato luogo di tormento, Giobbe avrebbe espresso il desiderio di andarvi e rimanervi finché Dio non si fosse ricordato di lui? Chiaramente Giobbe voleva morire e andare nella tomba per porre fine alle sue sofferenze” (p. 82).
La verità:
L’equivoco continua. Sì, ai tempi di Giobbe non si aveva ancora l’idea dell’inferno. Nel Libro di Giobbe Sceol ha il significato o i significati, di cui ci siamo occupati nella Prima Parte, secondo il contesto. Nel testo citato (14, 13) Sceol vuol dire “scendere nella tomba”, “morire” e finire di soffrire. Questo Giobbe chiedeva a Dio. L’equivoco geovista consiste nel dare alla parola Sceol un significato che non ha e che nessun lettore attento della Bibbia ha mai dato alle parole di Giobbe (14, 13).
7 – L’errore: “In tutti i casi in cui ricorre nella Bibbia, Sceol non è mai messo in relazione con vita, attività e tormento. Al contrario, è spesso collegato con la morte e l’inattività. Per esempio, Ecclesiaste 9: 10 dice: “Tutto ciò che la tua mano trova di fare, fallo con la medesima potenza, poiché non c’è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello Sceol, il luogo al quale vai. La risposta è quindi molto chiara. Sceol e Ades non indicano un luogo di tormento, ma la comune tomba del genere umano (Salmo 139: 8). Nello Sceol vanno sia buoni che cattivi” (p. 83).
La verità:
a) Sì, la risposta è molto chiara: in tutti i casi in cui ricorre nella Bibbia, Sceol non è mai messo in relazione col tormento. E allora, perché tanto parlare di esso come se fosse un luogo di tormento? “Servo malvagio, dalle tue stesse parole ti giudico” (Luca 19, 22). Perché insinui che la parola “inferno”, che in alcune Bibbie traduce Sceol, ha il significato di “luogo di tormento”? Non sarebbe onesto dire chiaramente che in quei casi la parola “inferno” non significa “luogo di tormento”? Non è un inganno insinuare il contrario?
b) Dal fatto, comunque, che Sceol non è messo in relazione con un luogo di tormento, non ne segue che non vi sia un “inferno” come stato di pena. La Bibbia non comprende solo gli scritti dell’Antico Testamento. Tante verità poco chiare o sconosciute agli Ebrei sono state insegnate da Gesù e dagli Apostoli. Tra queste il destino dei malvagi, come appare chiaro dal caso del ricco cattivo (cf. Luca 16, 23). Gesù poi parlò espressamente della Geenna, che nel linguaggio corrente è indicata con la parola “inferno”. L’abbiamo spiegato diffusamente nella Prima Parte.
8 – L’errore:
“Dall’inferno” si può uscire.
Si può uscire dallo Sceol (Ades)? Prendete il caso di Giona. Quando Dio lo fece inghiottire da un grosso pesce per salvarlo dall’annegamento, Giona pregò dal ventre del pesce: “Dalla mia angustia chiamai Geova, ed egli mi rispondeva. Dal ventre dello Sceol (“inferno”, versione cattolica di Douay) invocai soccorso. Tu udisti la mia voce”. – Giona 2: 2” (p. 83).
La verità:
a) Ancora equivoci, sempre, tanti equivoci nella penna geovista. Per sventarli, ricordiamo il caso di Giona con piena fedeltà alla Bibbia. Giona si venne a trovare nel ventre del pesce, ossia in grande pericolo di morte, nella morsa della morte, nelle grinfie della potenza della morte.
Ora – certamente ve ne ricordate – Sceol ha anche il significato di morte (cf. pp. 7-8). Qui non c’entra affatto l’“inferno” come luogo o stato di tormento!
In quelle tragiche circostanze Giona si rivolse al Signore perché lo liberasse dalla morte: “Quando mi sentivo venir meno la vita, ho ricordato il Signore. La mia preghiera è giunta fino a te …” (Giona 2, 8). Si trattava dunque di pericolo di morte, non d’inferno come luogo d’eterno tormento. Giona uscì da quel pericolo sano e salvo, non dallo Sceol e tanto meno dall’inferno.
b) Per puntellare il loro contorto ragionamento i tdG citano la versione cattolica detta di Douay, che traduce Sceol con la parola hell (inferno): “I cried out of my affliction to the Lord, and he heard me. I cried out of the bell of hell, and thou hast heard my voice” (Giona 2, 3).
Questa citazione non ha alcun valore probativo. La Bibbia detta di Douay è stata tradotta nel 1609, ossia 378 anni fa. Allora, come del resto anche adesso, la parola hell (inferno) poteva avere (e può avere), secondo il contesto, anche il significato di morte o pericolo di morte. E’ il terzo significato della parola ebraica Sceol (cf. pp. 7-8). E’ chiaro che in Giona 2, 3 hell (inferno) ha appunto questo significato.
A conferma vale il fatto che le traduzioni odierne, eccetto qualche raro caso, traducono Giona 2, 3, senza usare la parola hell. Perché i geovisti non citano queste versioni più aggiornate nello stile?
9 – L’errore:
“Cosa voleva dire Giona con le parole “dal ventre dello Sceol” (“inferno”, Douay)? Certo il ventre di quel pesce non era un infuocato luogo di tormento, ma sarebbe potuto diventare la tomba di Giona. Infatti Gesù Cristo disse riguardo a sé: “Come Giona fu nel ventre del grosso pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo sarà nel cuore della terra tre giorni e tre notti”. – Matteo 12: 40” (pp. 83-84).
La verità:
a) Se il ventre dello Sceol non era un infuocato luogo di tormento, ma solo una potenziale tomba di Giona, il caso di Giona non prova che si possa uscire dall’“inferno”. Prova solo che Dio può liberare da una morte incombente. Qui l’inferno come stato di pena non c’entra affatto. Volercelo fare entrare equivale a ingannare, pur sapendo di ingannare.
b) Il caso di Gesù è molto diverso da quello di Giona. Gesù non venne fuori né dal ventre di un grosso pesce né da un pericolo di morte e tanto meno da un “luogo di eterno tormento”.
Gesù fa riferimento al caso di Giona non perché vi sia identità tra lui e Giona, ma solo per spiegare, mediante un’analogia, come egli dopo’ tre giorni sarebbe certamente risuscitato. Come Giona effettivamente dopo tre giorni era stato liberato dal pericolo di morte, così egli dopo tre giorni sarebbe effettivamente tornato da morte a vita.
10 – L’errore:
“Gesù rimase morto nella tomba per tre giorni. Ma la Bibbia dice che “non fu abbandonato nell’Ades (“inferno”, EP)… Questo Gesù ha Dio risuscitato” (Atti 2: 31, 32). Similmente, per comando di Dio, Giona fu tirato fuori dallo Sceol, cioè da quella che avrebbe potuto essere la sua tomba. Questo accadde quando il pesce lo vomitò sull’asciutto. Sì, si può uscire dallo Sceol! Infatti la rincuorante promessa contenuta in Rivelazione (Apocalisse) 20: 13 è che ‘la morte e l’Ades (I”‘inferno”, EP) daranno i morti che sono in essi!’. Che differenza fra l’insegnamento biblico circa la condizione dei morti e ciò che hanno insegnato molte religioni!” (p. 84).
La verità:
a) Che differenza tra ciò che insegna la Bibbia con molta chiarezza e la grande confusione degli insegnamenti geovisti a danno sempre della gente ignorante!
Cominciamo col dire o col ripetere che il caso di Gesù non è simile a quello di Giona. Gesù andò veramente nel “regno dei morti” (Ades); Giona fu solo in pericolo di morte. Anche se qualche Bibbia edita dalle EP traduce Atti 2, 31 usando la parola “inferno”, non intende dire che Gesù sia andato nel ventre di un grosso pesce o la luogo di eterno tormento. Non sarebbe stato onesto fare questa precisazione? Né il caso di Giona, dunque, e tanto meno quello di Gesù è una prova che si possa uscire dall’ “inferno”, come i tdG intendono dimostrare.
b) Ma a questo punto l’anonimo redattore del libro geovista tenta di fare un’abile sterzata. Mentre aveva iniziato dicendo: “Dall’inferno si può uscire”, ora conclude dicendo: “Sì, si può uscire dallo Sceol!”. Dunque, ci si può legittimamente domandare: non era questione dell’“inferno”, anche se qualche Bibbia usa la parola “inferno”! Dunque il termine inferno, che si trova nella Bibbia edita dalle EP, non significa “luogo di eterno tormento”!
c) Prendiamo atto, infine, della consolante promessa dell’Apocalisse 20, 13 che “la morte e l’Ades daranno i morti che sono in essi!”. Se queste parole, nella spiegazione che danno i geovisti, significano che dallo Sceol si può uscire, ne segue che con la morte l’uomo non torna in uno stato di inesistenza come insegnano gli stessi geovisti. E’ vero dunque il contrario, e cioè che dopo la morte la vita dell’uomo continua come insegna la Bibbia e come sempre ha insegnato la Chiesa Cattolica.
P. Nicola Tornese s.j.
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