La più bella icona dell’amore
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Ciascuno di voi provi a immaginare in questo momento quella che secondo lui è la più bella immagine capace di rappresentare l’amore. So di avervi già troppo influenzato a pensare all’amore nuziale e il test non può riuscire molto bene; ma state tranquilli che se a un pubblico ingenuo chiedessi in prima battuta di dirmi qual è il modo di amare più alto, più sublime, quasi il prototipo dell’amore umano, la maggior parte delle persone non lo vedrebbe, ad esempio, nella semplice quotidianità con cui due sposi si «sopportano a vicenda con amore» (Col 3, 13) per conservare unione e pace, ma piuttosto nell’eroismo di chi ha salvato una vita a rischio della propria, nell’altruismo di un missionario, di una Madre Teresa con i moribondi di Calcutta, nell’amore materno… Magari, per i cristiani, nel sacrificio di Cristo in croce.
Eppure, nessuna di queste realtà è l’amore più alto! L’amore materno? Anche una ragazzina di 15 anni può avere sentimenti materni e spirito di abnegazione verso il proprio figlio: si può essere una madre sufficientemente buona (finché il figlio è piccolo…) senza essere una donna matura, felice ed equilibrata. Perché l’amore materno all’inizio è puro istinto. Anche gli animali sono capaci di amore materno.
Per non dire che il sentimento materno è sempre equivoco: siamo proprio sicuri che la mamma ami suo figlio in quanto tale o non piuttosto lo ami narcisisticamente in quanto “parte di sé”? Detto tra parentesi, credo che nella nostra civiltà si stia estinguendo non solo l’amore paterno, ma anche quello materno… Non perché le donne di oggi siano peggiori delle “buone mamme” di una volta, ma perché oggi le donne hanno altre occasioni e modi di realizzare il loro narcisismo. Sarò cinico? ……
……… L’amore materno – come vedremo – è sano se e solo se attinge al “modello” della nuzialità; se, per così dire, tende a quello. Il gesto eroico di un momento? Anche un ragazzino può salvare il fratello in un momento di pericolo! Chiunque – oserei dire – senza pensarci è spinto interiormente ed è capace di donarsi anche a rischio della vita, senza che gli si richieda come pre-requisito una grande maturità umana. E neanche una grande virtù. È un gesto più spontaneo, che riflesso.
Restare ammirati per un gesto gratuito di eroismo ci porta a contemplare le possibilità di bene che ci sono nella natura umana, ma non ci dà un modello praticabile, concreto, quotidiano di come essere felici.
Quando poi il gesto non è istintivo, ma meditato e riflesso, non dimentichiamo che può sempre essere equivoco: le motivazioni per un gesto eroico non sempre sono così belle e limpide. Non c’è bisogno di pensare ai kamikaze, ma quanti “danno la vita” per sensi di colpa, per narcisismo, per un senso di legame/debito di sangue con la famiglia/il clan, per masochismo o semplicemente per gusto del rischio e dell’emozione!
Dunque non userò come prototipo dell’amore umano il gesto eroico. Anch’io da ragazzo avevo spesso la fantasia di fare l’eroe; ad esempio, buttandomi per strada a salvare un bambino a rischio della mia vita… Mi rendo conto ora di quanto narcisismo e di quanta autosvalutazione viveva in me. Ho conosciuto molti che hanno fatto gesti eroici, ma non sono in grado di amare i loro figli e la loro moglie. Dice san Paolo: «se anche dessi il mio corpo per essere bruciato, ma non avessi la carità niente mi giova» (ICor 13, 3).
Neppure l’opera di un missionario o di una Madre Teresa prenderei a prototipo dell’amore umano. Perché anche quell’amore di compassione, di donazione di sé, di una vita offerta per gli ultimi… non è ancora il massimo dell’amore. Anche quello può essere una fuga nel narcisismo. Ora non dovete pensare a Madre Teresa, che è santa per numerosi altri motivi, ma a quanti possono lasciare tutto e andare in Africa a fare del bene… fuggendo dal loro matrimonio! Da se stessi! Da Dio anche!
Quanto più il gesto è grande, tanto più è equivoco. Mi piace pensare che Madre Teresa sia santa non per le straordinarie opere di abnegazione, ma per la tanta fatica di amare e lasciarsi amare nella quotidianità prosaica della convivenza con le consorelle e con chi le stava vicino: ancora una volta il modello è la nuzialità.
Adesso arriviamo al clou. Non vi scandalizzate: perfino l’icona di Cristo in croce non è il prototipo dell’amore. Quanti crocifissi nella storia! Quanti martiri! E tutti hanno amato? No: «Anche se dessi il mio corpo per essere bruciato…», ricordate? Molti si sono lasciati bruciare per orgoglio, per narcisismo… non per amore.
Ma Cristo, no. Certo che Cristo no! Il suo amore per gli uomini non trova la pienezza nella croce, ma nel banchetto nuziale. Sbaglieremmo se vedessimo nella croce il top dell’amore. Perché resterebbe un amore a senso unico. Ho letto il libro La buona notizia di Gesù, di Virginio Spicacci, e da lui ho compreso il senso del Kerygma: Cristo in croce è la manifestazione dell’amore-dono. Dio mi ama gratuitamente, senza nulla chiedere in cambio, mi ama alla follia. Cristo in croce è l’espressione dell’amore-vero che c’è nel mondo e questo amore vero è Dio. No, no!
Riprendiamo il dialogo di Gesù con la samaritana. Le dice: “dammi da bere”. In questo semplice gesto di chiedere un sorso d’acqua, c’è più Kerygma, c’è più rivelazione del volto di Dio, che non in tutto quello che Gesù rivelerà di sé alla donna in seguito. Che il Messia avrebbe donato l’acqua viva, che sarebbe stato il più grande profeta, che avrebbe donato lo Spirito ed inaugurato una nuova era, si sapeva già… ma nessuno poteva immaginare che Lui, il Re dei Re, avrebbe avuto sete e si sarebbe umiliato a chiedere un sorso d’acqua. C’è più amore in questo, che perfino nell’eroismo di una croce!
Gesù non voleva fare l’eroe: voleva “amare” ed essere amato. L’amore-dono è un mezzo, non il fine. Se la croce è il mezzo, la risurrezione è il fine. Cos’è più grande, il mezzo o il fine? Se l’amore crocifisso è il mezzo, l’amore nuziale è il fine (pensate a Gesù che spezza il pane con i discepoli di Emmaus in Lc 24, 30 o che mangia i pesci sulla riva del mare, dopo la sua resurrezione in Gv 21, 13: immagine del banchetto escatologico delle nozze dell’agnello).
Dio non è venuto in terra per farci vedere come è bravo e santo a morire in croce ingiustamente per noi, così da farci sentire tutti una schifezza. No: Cristo è morto in Croce per invitarci a non aver paura di lui ed entrare in comunione con la sua persona. Come un innamorato che, amandoti in piena libertà e gratuità, ti mostra una volta per tutte la sua rinuncia a sé per amor tuo, per invitarti a una felicità più grande: quella di donarti anche tu a lui e insieme essere felici.
Spero di riuscire a spiegarmi: nell’amore nuziale l’agape e l’eros sono tutt’uno. Il dono di sé e il desiderio di ricevere amore sono una cosa sola. Cristo in croce non muore solo per mostrare quanto Dio ci ama. Muore piuttosto come un assetato, come qualcuno che ha ugualmente bisogno di essere amato. Anche Dio ci ama “eroticamente”, (in senso lato) perché l’eros è parte della nuzialità, perché Dio è lo Sposo! Beh… Se finirò sul rogo per questo, starò in buona compagnia: perché anche un tal Benedetto Sedicesimo ha avuto il coraggio di scrivere queste cose nella sua prima Enciclica! (Deus caritas est).
Per farvi capire ancora meglio: Gesù non è stato scandaloso solo quando ha lavato i piedi ai suoi discepoli (Gv 13, Iss), ma anche quando immediatamente prima (Gv 12, I ss) se li era lasciati lavare da una donna e ungere con olio preziosissimo (che si poteva vendere e dare ai poveri: come giustamente aveva insegnato Giuda). Non vi accorgete che si tratta di una reciprocità nuziale?
Gesù non è stato grande tanto nel fare miracoli, ma di più nel restituire dignità e potere personale alla persona miracolata («Alzati, la tua fede ti ha salvato»: che incredibili parole, quasi a dire “il merito è anche tuo”), come a metterla in un piano di parità con se stesso. La parità dei due partner non è forse la condizione della nuzialità?
Non ci inganniamo: fare del bene è più facile che riceverlo umilmente. Fare del bene è da forti, averne bisogno e chiederlo è da deboli. Proviamo a vedere la croce come un luogo in cui Gesù mentre dona ha sete di ricevere, si mostra debole e non forte… Senza dimenticare che la croce è comprensibile a partire dall’esperienza nuziale: fuori di questa diventa un assurdo, un non senso. Fine della provocazione. L’amore quotidiano di due coniugi, questo sì è il prototipo dell’amore. Ed è quello che indicherò come il più difficile, il più eroico, il più santo.
Perché occorre molta più rinuncia al proprio narcisismo nel lasciare che un altro mi lavi i piedi (ad es. accettando di essere amato/perdonato/accolto in quella parte di me che neanch’io accolgo) piuttosto che fare mille gesti eroici o altruistici; perché occorre una maturità interiore, un lungo cammino per diventare uomo/donna in pienezza e poter realizzare un buon matrimonio; perché nell’amore nuziale niente diventa più istintivo, ma tutto diventa invece libero, affidato continuamente alla libertà che si decide per lo Spirito.
Perché c’è un divenire nel tempo, fecondato ogni attimo da un decisione eterna; c’è una fedeltà; c’è un prossimo da amare che mi sta sempre “troppo” prossimo. E c’è un nemico da amare che sta sempre in casa con me.
Mimmo Armiento
Io prendo te come mia cosa
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