L’alcool
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Il vino è la bevanda inebriante più antica del mondo. La Bibbia afferma che fu Noè a scoprirlo e che, non conoscendone gli effetti, si ubriacò. Di per sé il vino è una buona bevanda: durante i pasti, accompagna bene le pietanze e “rallegra il cuore dell’uomo”. Fa bene allo stomaco perché aiuta la digestione. Anche Gesù, durante i banchetti cui era invitato, bevevo qualche sorso di vino e, alle nozze di Cana di Galilea, egli compì il miracolo di transustanziare l’acqua in vino (poiché era finito). Anche i distillati possono procurare benefici all’organismo (I monaci benedettini producono vari tipi di alcolici, alle erbe, a scopo medicinale). L’alcol dunque, bevuto in giusta misura, può dare benefici all’organismo.
I problemi sorgono – e possono diventare anche gravi – quando se ne fa abuso perché allora si manifesta quale sostanza psicoattiva (pari alle droghe pesanti) causando danni di vario genere, tanto che oggi l’alcol è considerato un’altra grossa piaga sociale. Molti sostengono che si muore più per l’alcol che per la droga (Vedi le “stragi del sabato sera”). Il bevitore, infatti, non si rende conto che l’alcol annebbia la mente, altera i riflessi e che diventa difficile controllare il veicolo; al contrario, egli si sente euforico, perde i freni inibitori, avverte una sensazione di onnipotenza che gli dà la convinzione di poter padroneggiare il mezzo anche nelle curve più pericolose.
Può arrivare addirittura a sentirsi immortale e magari passa col rosso, convinto che non gli possa capitare nulla di male. Purtroppo invece finisce col perdere il controllo del mezzo di trasporto e finisce fuori strada, con tutte le conseguenze della circostanza. Questo fenomeno si verifica specialmente tra i giovani (e fra gli adolescenti) che il sabato sera vanno in discoteca.
Al di là di quanti cercano sensazioni occasionali (in cui, per altro, possono restare irretiti), c’è un numero considerevole di persone che fa uso di bevande alcoliche per cercare di fronteggiare dei problemi personali. L’alcolista infatti ha una personalità molto simile a quella del drogato: ha scarsa indipendenza, è molto insicuro, ha poca autostima, non riesce a sopportare le frustrazioni e si sente crollare sotto il peso del dolore.
I suoi rapporti sociali possono anche apparire normali ma, in realtà, sono sostenuti dall’alcol di cui l’alcolista fa uso per poter fare ciò che, senza, non sarebbe assolutamente in grado di fare (perfino cose notevoli) e si sentirebbe come perso. Come già detto l’alcol produce euforia, in quanto allenta riduce le “informazioni” della coscienza, rallenta i freni inibitori (a volte fino a far emergere gli istinti primari) e l’alcolista può passare tranquillamente dalla condizione di timidezza a quella della violenza.
In genere però gli alcolisti riescono, almeno inizialmente, a nascondere la propria dipendenza ma nell’uso smodato dell’alcol producono una serie di danni molto gravi al proprio organismo: danni cerebrali (l’alcol brucia le cellule del cervello), danni al fegato (che non riesce più a controllare quel veleno e subisce un’ alterazione che, nella forma più grave, prende il nome di “cirrosi epatica” e conduce alla morte.
L’alcolismo non è un vizio ma una malattia. Inizialmente sembra un rimedio, quasi innocuo, per compensare l’ansia ma, poco alla volta, prende il sopravvento e non si riesce a farne più ameno. I giovani bevitori (a partire dai 14 anni) hanno raggiunto una percentuale altissima di consumo alcolico.
Ma nel Nord Italia (Friuli, Trentino, Veneto) sono veramente molti gli alcolisti. Va detto, peraltro, che costoro non sono pienamente consapevoli del loro problema. Prendono coscienza della cosa solo quando questa assume i toni di una certa gravità. Allora sono portati a chiedere aiuto e, magari riescono rivolgersi a organizzazioni specializzate (tipo “alcolisti anonimi”) e, con quel genere di psicoterapia di gruppo, molti si salvano. Purtroppo per altri, schiavi dell’alcol, alla fine del tunnel c’è la morte.
La morale cristiana non può che condannare l’uso smodato dell’alcol, del tutto contrario alla virtù della temperanza che invita ad evitare ogni sorta di eccessi, specialmente quando questi possono mettere a repentaglio la vita umana (propria e di altri). (cfr CCC 2290).
Don Manlio
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