Settemila giovani dietro una croce
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Immaginate 7 mila giovani fra i 19 e i 15 anni. E pensateli a Rimini, sulla riva del mare. Di sicuro vi viene in mente un gran baccano. Invece questa immensa folla di giovani sulla sponda dell’infinito era in un silenzio assoluto e commosso, che lasciava sentire la brezza e il rumore delle onde. E’ accaduto venerdì scorso, venerdì santo, dalle ore 13 alle 18. Settemila giovani dietro a una croce. Anzi dietro al “più bello fra i figli dell’uomo”, dietro all’Inimmaginabile, dietro all’unico uomo veramente affascinante della storia.
L’unico re, umile e veramente potente. L’unico amico fedele, l’unico che ha pietà di noi uomini. Non crediate che si tratti di extraterrestri. Sono i nostri figli. Frequentano licei e istituti tecnici. Sono normalissimi ragazzi italiani dell’anno di grazia 2011. Volti normali, abbigliamento tipico della loro generazione, chi col piercing, chi con la coda di cavallo, chi col bordo delle mutande che spunta sotto i jeans.
Non sono ragazzi che non fanno peccati, anzi sono qui proprio perché – come tutti gli altri – li fanno: sono venuti per questo, perché sentono il bisogno dell’abbraccio di un Padre buono, che perdona, di un Amico grande, che non tradisce mai e che medica le loro ferite. Non sono qui perché non s’innamorano: ma, al contrario, sono qui proprio perché s’innamorano e vogliono capire chi e cosa mai potrà colmare questa loro sete d’amore che è più grande del mare, più immensa, più misteriosa e profonda dei suoi fondali.
Il loro raduno – organizzato da Gioventù studentesca (CL) – era cominciato il giovedì santo, alla fiera di Rimini, proprio con le immagini dello tsunami in Giappone avvolte da una musica che struggeva il cuore. Don Eugenio Nembrini ha suggellato quelle immagini con una domanda che mette ognuno con le spalle al muro: “che cosa sta in piedi nella vita?”. Tutto infatti è spazzato via dal tempo e dalla morte. Tutto. Anche il potere più formidabile è ridotto in polvere e non resta nulla.
E così sembra che non valga la pena vivere o pare che si possa vivere solo cinicamente. Ma invece don Julian Carron ha esortato questi settemila giovani a non rassegnarsi: “sentire urgere dentro di sé le esigenze di felicità, di bellezza, di giustizia, di amore, di verità, sentirle vibrare, ribollire in ogni fibra del nostro essere” e “prenderle sul serio è ‘la’ decisione più grande della vita”.
E’ l’avventura degli audaci: “per gente viva, libera, capace di volersi veramente bene. Per gente che vuol vivere all’altezza dell’ideale a cui il cuore spinge senza sosta”. Ma cosa può restare in piedi e resistere alla distruzione del tempo, del dolore, del male e della morte?
Il motto degli antichi monaci certosini diceva: “Stat Crux dum volvitur orbis”. Che vuol dire: solo l’uomo della Croce rimane invincibile, mentre tutto nel mondo passa e tutto crolla. Resta solo il potere dell’Amore, di “Colui che ha preso sulle sue spalle la croce di ognuno di noi, Colui che ha portato tutte le croci del mondo”, come ha detto don Eugenio.
Antonio Socci
Lo Straniero
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